Sembra John Fitzgerald Kennedy, ma è Andrea Agnelli. Parla di visioni, incanta l’audience, vede avanti e contestualmente infastidisce i suoi detrattori. È per certi versi un uomo solo, come soli sono tutti coloro che hanno qualcosa di grande da difendere e da aggiornare per il futuro prima ancora che il futuro sia noto. Delega gli uomini di fiducia, ma conosce tutto. Probabilmente ascolta, ma valuta tutto. È un duro, ma è tenero dentro perché quella cosa grande è una delle poche cose per cui si scioglie. Ma, soprattutto, ottiene gli obiettivi. Anche i più ardui. Dal 2010 i dati su fatturato, capitalizzazione, esposizione e più in generale sull’azienda Juventus si sono trasformati in modo impressionante. E, soprattutto, ciò per cui lotta e lavora vince. Delle sue vision pochissimo è rimasto incompiuto. Forse la restituzione di una memoria storica diversa a proposito di Calciopoli attraverso un atto formale qualunque, ma le parole restano ferme anche se giustamente ce ne sono sempre meno da spendere. Perché la Juventus è adesso, il calcio è adesso. Anzi, a Torino è sempre domani. Anche quando vinci per l’ennesima volta lo scontro diretto e ritorni in testa. Anche quando si fa male il capitano. Anche quando prendi il più forte del mondo e chi lavora per esserlo. Anche quando saluti Buffon, Bonucci e Higuain. Domani è sempre una nuova valutazione, una continua elaborazione di ciò che è meglio per puntare ai traguardi.
È realpolitik declinata su un’illuminata lettura dei numeri e degli scenari quella di Andrea Agnelli. Fin qui la sua gestione della Juventus è stata esattamente come la immaginava (e come credeva fortemente potesse essere, partendo da basi molto vicine allo zero). Due eventi in particolare hanno permesso che ciò che si potesse ottenere a livello industriale in dieci anni arrivasse in tre. E poi ciò che nei successivi cinque è arrivato in un anno. E poi ciò che sembrava chimera si verificasse nel corso di un blitz estivo. Gli eventi in questione sono lo scudetto al primo anno di Conte e dello Stadium - un acceleratore formidabile al quale devi saperti aggrappare - e la finale di Champions League da outsider di Berlino 2015 - un moltiplicatore di autostima, opportunità e attrattività che non è stato sciupato nonostante gli addii estivi. Un amico dice che il primo corrispondeva alla necessità, il secondo alla consapevolezza. D’altronde oggi il misuratore Juve è solo e soltanto su scala europea, per quanto in Italia ogni anno si riesca a trovare lo stimolo per non mollare un centimetro e quest’anno lo stimolo si chiama Antonio Conte visto che Agnelli non lo nomina ma è come se lo nominasse.
La forza propulsiva dell’assemblea “del nuovo Anno Zero” è stata però un’altra. Essersi sostanzialmente dimenticati di Cristiano Ronaldo come centro del discorso economico finanziario. Ciò che era al centro del dibattito e dei punti interrogativi ieri, oggi è consolidato e digerito, accettato e sfruttato come leva. In poco più di dodici mesi. Sportivamente parlando è come altri della storia bianconera: chiamato a provare a vincere con la Juve per prendersi il Pallone d’Oro. E i tifosi devono tifare, nei vari modi possibili nel mondo dei digital, senza per forza “pensare a ciò che possono fare loro per la Juventus”. Ci pensa la Famiglia.