Ci sono squadre che più di altre hanno scritto la storia del calcio, segnando un'epoca per sempre e influendo con il loro rivoluzionario stile di gioco sul futuro sviluppo del gioco. Dalla metà degli anni '60 l'Ajax di Cruyff ha inventato il calcio moderno, in tempi molto più recenti il Barcellona di Messi e Guardiola ha sublimato lo stile ereditato dagli olandesi aggiungendo velocità e verticalità, ma la squadra più forte di tutti i tempi, almeno stando all'autorevole parere della Uefa, è il Milan della fine degli anni '80, quello del pressing alto di Sacchi e dei tre Tulipani.
Senza un trofeo dal 1979, il Milan rinasce nel 1986, quando Silvio Berlusconi subentra a Farina e ne rileva la proprietà. Il neo presidente esprime chiaramente l'intenzione di portare il club sul tetto del mondo giocando un calcio offensivo e spettacolare. Un anno dopo, nel 1987, chiama ad allenare Arrigo Sacchi e insieme a lui arrivano in rossonero due campioni del calibro di Marco Van Basten e Ruud Gullit. La squadra del tecnico romagnolo vince il titolo alla prima stagione, mentre nelle due successive si aggiudica due Coppe dei Campioni consecutive, più le rispettive Supercoppe UEFA e Coppe Intercontinentali. "Il nostro presidente aveva un sogno - ricorda Sacchi -. Voleva costruire la squadra più forte del mondo. Quando sono arrivato, ho trovato un gruppo di grandi professionisti che volevano vincere, ma solo giocando il calcio più spettacolare".
Quando Sacchi arriva sulla panchina del Milan è un allenatore pressoché sconosciuto e quando gli fanno notare che non è mai stato un calciatore lui risponde, "Non sapevo che per essere un bravo fantino devi prima essere stato un cavallo". Applicando il concetto di "intelligenza collettiva", l'allenatore chiede 11 giocatori attivi in tutti i momenti della gara, sia in difesa sia in attacco. Addirittura, in allenamento organizza partite da 90 minuti senza palla, indicando ai giocatori la posizione immaginaria della sfera in modo che possano schierarsi di conseguenza. Il Milan di Sacchi gioca con il 4-4-2 e la difesa a zona, con una distanza tra difensori e centrocampisti mai superiore a 25-30 metri. La difesa alta e un efficiente trappola del fuorigioco tengono sotto pressione gli avversari, che non riescono a contrastare la velocità dei rossoneri.
L'eliminazione del Real Madrid in semifinale di Coppa dei Campioni 1988/89 è uno dei successi chiave, e probabilemnte il più simbolico, del nuovo Milan, che nel frattempo aveva acquistato anche il terzo tulipano: Frank Rijkaard. Il Real è considerato imbattibile in casa e quindi tutti pensano che i rossoneri possano accontentarsi di una sconfitta di misura al Bernabéu per poi giocarsela a San Siro, ma Sacchi ha altre idee. Il suo Milan gioca tutta la partita all'attacco e al 90esimo pareggia 1-1 non senza rimpianti. Al ritorno a Milano i rossoneri sono un fiume in piena, il Real viene travolto 5-0 e per il Milan si spiana la strada verso la finale. Il 4-0 rifilato allo Steaua Bucarest nella notte di Barcellona è tuttora la vittoria più larga in una finale di Champions League.
I grandi meriti di Sacchi sono ovviamente innegabili, come è anche innegabile che però poi in campo ci andavano i giocatori e in quegli anni il Milan aveva una rosa pazzesca, tanto che quella squadra è passata alla storia con il nome di "Immortali". Tra i giocatori che scesero in campo durante la finale vinta contro la Steaua, c'era gente del calibro di Baresi, Maldini, Tassotti, Costacurta, Ancelotti, Donadoni, Rijkaard, Gullit e Van Basten. Una formazione unica, irripetibile: sarebbe un sogno poter vedere quel Milan sfidare il Barcellona odierno. "Se ci paragonano al Milan di Sacchi, siamo molto fieri - ha dichiarato Xavi nel 2012 - È stata una squadra che ha scritto la storia del calcio".