Milan, Modric: "Boban e Totti i miei idoli. Scudetto già quest'anno? È possibile"

"È vero, da piccolo ero milanista, per via dell'eroe della mia infanzia: Zvonimir Boban, capitano della Croazia che sfiorò l'impresa al Mondiale di Francia del 1998". Così in un'intervista al Corriere della Sera, Luka Modric, sei Champions, Pallone d'Oro, miglior giocatore del Mondiale 2018, 194 partite con la Nazionale croata, è il calciatore più longevo del nostro campionato. "La vita ti sorprende sempre. Succedono cose che non avresti mai creduto possibili. Ero convinto di chiudere la carriera nel Real Madrid, invece… Questo però l'ho sempre pensato: se avessi mai avuto un'altra squadra, sarebbe stata il Milan. Sono qui per vincere", prosegue il centrocampista croato, che alla domanda sullo scudetto con i rossoneri ammette: "Al Milan si deve giocare sempre per vincere, solo per vincere. Già quest'anno? È possibile. Ma è lunga. Nel calcio devi pensare partita per partita. Se cominci a programmare a distanza di mesi, ti perdi".

Tornando al passato, suo nonno fu assassinato dai cetnici serbi: "Non amo parlare di questo. State riaprendo una ferita terribile", precisa Modric, che poi prosegue: "Era il dicembre del 1991, avevo sei anni. Una sera il nonno non tornò a casa. Andarono a cercarlo. Gli avevano sparato in un prato ai margini della strada. Aveva sessantasei anni. Non aveva fatto nulla di male a nessuno. Ricordo il funerale. Papà che mi porta davanti alla bara e mi dice: 'Figlio mio, da' un bacio al nonno'. Ancora oggi mi chiedo: come si fa a uccidere un uomo buono, un uomo giusto? Perché?". "Perché lo uccisero? Perché era la guerra. Mio padre partì volontario. Noi dovemmo lasciare tutto, da un giorno all'altro. Amici, affetti, cose. Ci rifugiammo prima a Makarska, nel campo profughi dell'orfanotrofio. Poi a Zara".

E ora la 'casa alta' che fine ha fatto? "Fu incendiata dopo l'assassinio del nonno. Il terreno attorno è stato sminato, anche se ci sono ancora i cartelli di pericolo. Oggi è di proprietà dello Stato. Tutta in rovina, piena di erbacce. Pensano di farci un museo. Ma non vorrei che fossero altri a decidere. La vorrei comprare. Per il nonno e anche per me. Quel rudere è un pezzo della mia vita". "Porto il suo nome con orgoglio. Da piccolo non sono andato all'asilo, piangevo sempre, così mi hanno portato nella sua 'casa alta', ai piedi del monte Velebit, in Dalmazia. Era la casa dei cantonieri: il nonno aveva la manutenzione della strada. Distava una mezz'ora a piedi dalla 'casa bassa' dove abitavano i miei genitori. Il nonno mi ha insegnato a spalare la neve, ad accatastare il fieno, a portare il gregge al pascolo. Sono cresciuto con gli animali, mi divertivo a tirare la coda alle caprette, credo di aver imparato a giocare a calcio lì, fra le pecore e le pietre", rivela l'ex madridista, che sui paragoni con Pirlo spiega: "Mi onora: Pirlo ha sei anni più di me, ha aperto una strada. Ma il mio idolo, Boban a parte, era Francesco Totti. In serie A avevate calciatori favolosi. Li guardavo e mi dicevo: quello è il calcio che voglio giocare".