La storia dell'Inter è sublimata da due epoche splendenti, vincenti, immortali. Giacinto Facchetti, indimenticata stella della Grande Inter degli Anni 60, se ne andava il 4 settembre 2006, dieci anni fa, all'alba di un ciclo che avrebbe poi raggiunto i traguardi dello squadrone di Helenio Herrera. Una scomparsa dolorosa. Il presidente, il volto interista nel mondo lasciava così la scena ai suoi eredi designati, allevati, cresciuti. Pronti per vincere tutto, senza di lui.
Il Cipe - come era soprannominato in seguito a un errore di Helenio Herrera, che un giorno lo chiamò Cipelletti - dell'Inter è stato capitano, dirigente e presidente. In nerazzurro, come calciatore, dal 1960 al 1978 ha conquistato quattro scudetti, due Coppe dei Campioni, due Intercontinentali e una Coppa Italia. Importante anche l'avventura in azzurro, suggellata dall'Europeo vinto nel 1968: a oggi, resta l'unico titolo continentale della nostra Nazionale.
Facchetti è stato più di un difensore. Un po' terzino, un po' attaccante (59 gol con la maglia dell'Inter), un po' ovunque perché il fisico lo consentiva (188 cm e doti atletiche straordinarie), mentre la testa sapeva gestire ogni situazione nella maniera più intelligente. Chi lo conosceva davvero bene, lo descrive utilizzando termini quali umiltà, istinto, onestà, correttezza, lealtà, coraggio, forza, sincerità, bontà, naturalezza. Caratteristiche che mai si perdevano una volta indossata la maglia numero 3, ritirata per sempre dopo la sua morte e comparsa su un campo da calcio, per l'ultima volta, la notte del 22 maggio 2010, al Santiago Bernabeu di Madrid, sulle spalle di Esteban Cambiasso per volontà della famiglia del Cipe. L'Inter, dopo 45 anni, tornava sul tetto d'Europa. Da lassù, dolcemente, qualcuno sorrideva.
10 anni oggi e un ricordo che ancora commuove. Numero tre, per sempre #GiacintoPerSempre #FCIM pic.twitter.com/AYVvyCS7cc
— F.C. Internazionale (@Inter) 3 settembre 2016