Sciarpa al collo, sorriso largo, l'aria di chi si sente a casa, di chi sta tornando a casa da un lungo viaggio. E in effetti è di questo che si parla: Arthur Antunes Coimbra, per tutti Zico, ha fatto il giro di mezzo pianeta, dal Giappone fino al Brasile, prima di tornare nella sua Udine. La sua Udine, certo, dov'era atterrato come una specie di marziano - meglio, come uno dei giocatori più forti di quel calcio -, l'11 giugno del 1983, un anno dopo aver perso quell'incredibile partita dei mondiali spagnoli contro l'Italia. E in qualche modo, forse, il suo approdo in Italia, negli anni in cui tutte le stelle del pallone sceglievano la Serie A - una Serie A con pochi, ma qualitativi, stranieri - era anche la naturale conseguenza di quella partita lì, perché, si potrebbe dire, quando non puoi batterli allora è il caso di allearti con loro. Loro siamo noi, e quelli che non ci avevano battuto erano Zico, appunto, ma anche Falcao, Junior, Cerezo, Socrates, tutti giocatori enormi di un Brasile pazzesco, il miglior Brasile di sempre per molti, ma anche un Brasile che aveva fallito l'appuntamento con la Coppa del Mondo, quindi in qualche modo un Brasile sbagliato, incompiuto.
Chi ha vissuto quegli anni non può aver dimenticato l'arrivo di Zico a Udine. Un po' perché il Galinho si era fatto convincere dalla scommessa di una piazza che non aveva e non avrebbe poi in effetti mai vinto uno scudetto. E un po' perché dentro a qualche dubbio sulle sue condizioni fisiche, c'era una curiosità diffusa attorno a lui. Erano tempi diversi, questo va detto, in cui la televisione faceva vedere poco e certi talenti al massimo li potevi guardare ai Mondiali. Ed erano anche tempi in cui i calciatori erano star per novanta minuti a settimana e non erano ancora stati divorati dai social. Per questo Zico - sorriso largo, già detto, e sciarpa al collo - ricorda innanzitutto "la presentazione in piazza. Non mi aspettavo tutto quel calore. Indimenticabile!".
E poi: "Tornare qui a Udine è stupendo: sono colmo di felicità e gioia. Sono di nuovo qui. Cerco di seguire sempre l'Udinese. Insieme al Flamengo e al Kashima è la mia squadra del cuore". "Io giocavo per vincere - dice ancora Zico -. Quando sono arrivato a Udine i tifosi mi chiedevano lo scudetto e io rispondevo: perché no? Sono venuto qui per questo. La mia mentalità è stata sempre improntata alla ricerca del successo". Non importa se poi non andò così, se i 19 gol della sua prima stagione non bastarono all'Udinese per centrare un titolo praticamente impossibile. Conta tutto quello che è rimasto, tutta la passione che c'è stata perché "la storia del calcio parla di chi vince, vero, ma il mio legame con i tifosi è qualcosa che va oltre il risultato".
E d'altronde nessuno lo sa meglio di lui: "Ho giocato tre Mondiali senza vincerne nemmeno uno e perdendo una sola partita: credo non ci sia un giocatore con queste statistiche. Come arrivai a Udine? Nel 1983 il giocatore non sceglieva. Oggi è diverso. Il Flamengo rifiutò l'offerta del Milan. Venni qui grazie a Edinho e Dal Cin". Fatto sta che in due sole stagioni - la seconda peraltro complicata non poco da un infortunio - Zico si è preso un posto d'onore nella storia del club friulano: "Ma per me - dice - il migliore della storia dell'Udinese è stato Di Natale. L'ho incontrato qualche anno fa: avrebbe meritato uno scudetto".
Già, ma oggi è il suo giorno, oggi è solo il giorno di Zico: "Cosa farei se mi chiamasse l'Udinese? Mi comporterei bene", dice sorridendo. "Allenerò ancora? Se arrivasse qualche opportunità sarei a disposizione. Non in Brasile però, sono troppo legato al Flamengo". Resta il tempo per un pensiero amaro: "Purtroppo il calcio è in mano a gente che non ha a cuore questo sportNon possiamo avere un Mondiale di 48 squadre! Colpa dei soldi".