Lungo l'interminabile e cupo viaggio al termine della notte milanista è spuntata una borsa piena zeppa di soldi. Meglio, sarebbe spuntata, perché al momento siamo nel campo di ipotesi, se non addirittura di minacce, che non spostano di una virgola i confini di un proprietario, Yonghong Li, che da tempo sta facendo camminare il Milan su di un filo sospeso a qualche metro dall'abisso.
La sintesi di una giornata di ordinaria follia è presto fatta: la Uefa non ha mosso foglia in attesa dell'annunciato cambio di proprietà. Commisso, bontà sua, ha messo sul piatto un'offerta che pareva decisiva - circa 500 milioni per l'acquisizione del club e una quota inferiore al 20% da lasciare a Mr. Li. Il Sole 24 Ore parla invece del pagamento del debito a Elliott, 150 milioni per mercato e gestine del club e una quota del 30% a Li senza altri soldi per l'uomo d'affari cinese, ndr - e Yonghong ha fatto saltare tutto. Come? Alzando l'asticella nella speranza di incassare più soldi dal suo "ex gioiellino" e minacciando, appunto, di avere per le mani i 32 milioni da restituire a Elliott per evitare l'avvio della procedura a Lussemburgo per l'escussione del pegno (il Milan, quindi).
La notizia di questa borsa piena zeppa di soldi è stata fatta filtrare (ad arte?) nella notte italiana, attorno alle 23, quando ormai tutti si preparavano a far saltare il tappo allo champagne per festeggiare la fumata bianca tra Commisso e Li. Inutile dire che per la proprietà cinese del Milan vale più che mai il lotitiano "pagare soldi, vedere cammello". Tradotto: un conto è far sapere che quei 32 milioni ci sono, altro è premere invio sul bonifico da indirizzare a Elliott.
Di qui due domande: ci sono davvero quei soldi? E se sì, da dove sono spuntati e perché, se erano nella disponibilità di Li, non sono stati versati prima dell'intervento di ricapitalizzazione di Elliott? In una storia fitta di lati oscuri, questa borsa - chiariamo, la stiamo chiamando così ma non è ovviamente di una borsa che si tratta - è l'ultimo mistero da indagare. O l'ultimo bluff da smascherare.
D'altra parte non si può pensare che si tratti solamente di una partita di poker con molti soldi in palio. Commisso è un uomo pratico, così è stato diffusamente descritto. Non ama perdere tempo, ama ancora meno i giochetti, mal sopporta (giustamente) le imposizioni. E' disponibile a trattare ma lo fa alle sue condizioni. E le sue condizioni sono un ultimatum, lanciato ieri, che scadrà questa sera. A mezzanotte o giù di lì, tra fusi e fusioni, questa parte della storia dovrebbe scrivere la parola fine.
Questa parte, appunto, perché i capitoli sono molti e ben distinti. Commisso a parte, si è parlato ampiamente nei giorni scorsi di almeno altri due soggetti in corsa per la proprietà del Milan. La famiglia Ricketts è stata la prima a uscire decisamente allo scoperto, ma ha poi scelto per un profilo molto basso, di attesa. Attesa che potrebbe far entrare in corsa anche Stephen Ross, il facoltoso proprietario dei Dolphins con cui, dicono, sta trattando da tempo Elliott. Non basta, perché il passare delle ore, unito all'imminenza, a questo punto, della sentenza Uefa, potrebbe cambiare una volta ancora le carte in tavola. Un'altra domanda: quanto varrebbe o varrà un Milan fortemente punito dalla Uefa?
Questo problema dovrebbe porselo Yonghong Li. Perché se il Milan cammina su un filo sospeso sull'abisso, in fondo alla interminabile e cupa notte milanista c'è il rischio concreto, per il proprietario cinese, di bruciarsi a furia di giocare sapientemente con il fuoco. Un Milan punito dalla Uefa ma con le carte necessarie per difendersi di fronte al Tas - quindi con un nuovo e solido proprietario - ha un valore. Un Milan stangato, senza possibilità di ridurre o ribaltare la scontata sentenza negativa di Nyon a Losanna e con un debito importante da onorare con Elliott entro ottobre ne avrebbe un altro. Molto ma molto più basso.