Ci sono zone d'ombra che richiedono tempo prima che una qualche forma di luce possa filtrare: "Per molti anni non sono riuscita a parlare della mia malattia, troppo difficile da spiegare e soprattutto da accettare" scrive sul suo sito Rachele Somaschini, pilota di rally di 24 anni affetta, fin dalla nascita, da fibrosi cistica, malattia "invisibile" per la quale non c'è guarigione e che condanna a un'aspettativa di vita media che si avvicina ai 40 anni.
Rachele, pilota milanese che ha ereditato dal papà la passione per i motori, l'ha allontanata con forza la sua zona d'ombra. E non solo perché quando la incontriamo, all'area Expo in occasione del Milano Rally Show in cui ha corso per il campionato smart EQ fortwo e-cup guidando una citycar elettrica, il sole caldissimo di fine luglio fa sentire tremendamente tutti i suoi effetti illuminando, al contempo, il suo viso. Rachele la sua zona d'ombra l'ha allontanata e superata soprattutto perché vedendola, e ascoltandola, non puoi che comprendere di avere di fronte una guerriera che affronta una battaglia più grande di lei. Ma inevitabile e in qualche modo vitale. E lo fa con un sorriso contagioso, col tono cordiale con cui, mentre è seduta a un tavolino a discutere della gara con la sua navigatrice, accetta l'invito a parlare della sua condizione ma in particolare del suo impegno. E lo facciamo, neanche a dirlo, su una terrazza invasa dal sole, dal caldo, dalla luce mentre sotto di noi corrono e sfrecciano moto da cross e bolidi da rally.
"Sono testimonial della Fondazione e Ricerca Fibrosi Cistica, che è una onlus che si occupa di ricerca scientifica relativamente alla fibrosi perché ad oggi una cura non c'è e l'età media di vita è di 40 anni. Quindi è importantissimo cercare di migliorare le cure a oggi esistenti, che sono più che altro terapie mentre per quanto riguarda una cura definitiva che blocchi quelli che sono i sintomi e il degenerare della situazione polmonare di noi malati, beh speriamo che in questi anni la ricerca possa fare passi in avanti ancora più significativi" inizia a raccontare.
Rachele convive con la fibrosi fin dalla nascita: "Sono 24 anni che mi curo mattina e sera ogni giorno. In realtà è una malattia che non si vede quindi spesso è difficile parlarne e descriverla ed è una realtà veramente dura perché le terapie sono impegnative". Lei, però, si ritiene, forse paradossalmente o forse no, fortunata: "Mamma e papà sono portatori sani e non hanno sintomi, una delle due mutazioni è lieve e per questo riesco a correre e a vivere una vita e una realtà che sono un po' meno gravi rispetto ad altri miei compagni d'avventura. Per questo cerco di portare avanti un messaggio di speranza e soprattutto cerco di far conoscere la malattia sia per evitare che le giovani coppie incorrano in questa malattia sia per cercare di raccogliere fondi, perché la ricerca è costosa e va finanziata".
La vita di Rachele è sempre stata all'insegna della corsa e dello sforzo. Sarà per questo che la sua zona d'ombra resta lontana anni luce: "Lo sport è come una seconda terapia, per me è sempre stato fondamentale e da piccola ne facevo anche due tre insieme…nuoto, tennis, equitazione perché così stavo meglio. In realtà ci sono persone che non riescono neanche a fare una camminata quindi lo sport lo puoi fare solo se hai una situazione favorevole che te lo consente e non per tutti i malati di fibrosi è così. Per alcuni superata una certa soglia resta solo l’attesa per il trapianto polmonare ma le liste sono molto lunghe e i donatori sono sempre troppo pochi". E le difficoltà, comunque, enormi verso una condizione che puoi trattare, con cui puoi convivere, a cui puoi sopravvivere per un certo tempo con la consapevolezza di un orologio biologico che scorre a una velocità doppia rispetto a quello degli altri.
La corsa fa parte anche di un suo progetto particolare in cui ha fuso amore e necessità: "Da due anni ho fondato il progetto Correre per un respiro che coniuga la mia passione per i motori alla necessità di raccogliere fondi. Oggi c’è un progetto di ricerca su cui vale la pena puntare tantissimo che si chiama Task force for cystic fibrosis del Gaslini di Genova: è un progetto a livello mondiale che mira a trovare una cura per la fibrosi e in particolare per alcune mutazioni genetiche. Si spera che dal risultato di questa ricerca, che però costa tre milioni di euro, si riesca ad arrivare a un esito positivo. Lo stiamo finanziando anche con il mio progetto e abbiamo raccolto più di 40mila euro da inizio anno. Sono anni che mi dedico a questo e sono più che orgogliosa di portare avanti un messaggio".
Rachele, tra una corsa e l'altra, porta avanti progetti e passioni: "In inverno quando ci sono meno gare cerco di intensificare le terapie necessarie che richiedono mesi in ospedale per essere più libera durante la stagione del campionato. Quest'anno ad esempio ho dovuto saltare una gara per un ricovero. Io cerco sempre di fare il possibile per mantenermi in forma e curarmi il più possibile nei momenti di stop dalle gare anche se poi gli imprevisti accadono sempre". E, al di là di quelli che chiama "imprevisti" e che in realtà sarebbero una montagna impossibile da scalare per la maggior parte delle persone, ci sono anche allenamenti speciali da affrontare: "Noi malati di fibrosi cistica sudiamo molto di più e per questo è fondamentale cercare di tenersi idratati, poi ogni mattina e ogni sera faccio fisioterapia respiratoria che espande i polmoni e toglie muco in eccesso. L’attività fisica è fondamentale. Io cerco sempre di cogliere ogni opportunità che mi viene data" dice come ultima cosa, sorridendo, sorridendo ancora come non ha mai smesso di fare un attimo da quando parla. Senza ombre, è evidente perché quando la luce inizia a filtrare così forte non c'è modo di oscurarla. Come un'auto lanciata a tutto gas verso una vittoria sicura, quella di chi combatte davvero ogni giorno per sé e per gli altri. Col sorriso, anche contro l'impossibile che poi alla fine impossibile lo è solo agli occhi di chi non è capace di sperare e lottare.
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