Forse c’è una punta, anzi puntina di verità in quello che ha detto Gregorio Lavilla, ex pilota e direttore del campionato mondiale Superbike. “Rea è il migliore ma non il più carismatico”. Lo spagnolo che non ha lasciato gran traccia negli albi d’oro, probabilmente pensava agli anni in cui le sportellate e le scazzottate a ruote ferme non mancavano mai, con i diretti protagonisti idolatrati dai fans che si recavano sui circuiti in sella a moto del tutto simili a quelle che correvano in pista. I tempi sono cambiati, e se Jonathan Rea non produce titoli fuori dai trionfi ce ne dobbiamo fare una ragione. Lui è un duro “dentro”, non esprimerà mai la carogna, sportiva s’intende, che sta dentro casco e tuta.
E’ un ragazzo gentile nei modi, padre di due splendidi figlioli e marito di un’australiana che serviva ai tavoli in un ristorante italiano di Cowes, a Phillip Island. Tutto negli schemi di una normalità che non va a scontrarsi con l’eccezionalità delle imprese in pista, per le quali il ragazzo nordirlandese era predestinato fin dagli esordi in Superbike con la Honda, moto che andava piano piano ad invecchiare ma che, con Johnny alla guida, trovava ancora giornate di gloria. La non mantenuta promessa di farlo arrivare in MotoGP, a parte le due gare da supplente di un Casey Stoner infortunato nel 2012, e la robusta offerta di Kawasaki, hanno cambiato la storia della categoria. Alla consapevolezza dei propri mezzi si è aggiunto nel 2015 il supporto tecnico adeguato da parte della casa giapponese che al contrario delle “sorelle” ha preferito produrre i massimi sforzi nel campionato delle derivate di serie. Inserito in un team perfettamente organizzato, Rea ha potuto trasformarsi in una letale macchina da vittoria, lasciando poco o niente ad avversari che sulla carta potevano contrastarne il cammino.
Niente da fare, gara dopo gara, traguardo dopo traguardo, Johnny il Cannibale si è trovato sempre più affamato, con furia nascosta dietro un’espressione sempre mite ha spazzato via i record della categoria in maniera facile per lui e imbarazzante per gli altri. Non si concede troppo, coltiva passioni, sfrenata quella per il motocross, nel quale ha ottenuto anche discreti risultati da giovane, stravede per Jake e Tyler che stanno cominciando adesso a capire che il papà è uno che fa grandi cose. Non è carismatico come Carl Fogarty? Non trascina le folle come Troy Bayliss? Poco importa a chi vede in lui una rara perfezione di guida, agonismo e dedizione. Bisogna solo che gli altri, case e piloti, prendano esempio e si diano da fare. Intanto lui si gode il poker mondiale. E state certi che non è finita qui.