Storie di calcio, arrampicate su roccia e pugilato. Lo sport è il vincitore di “Games”, la seconda call lanciata da Infinity, il servizio di video streaming on demand, sulla piattaforma di crowdfunding Produzioni dal Basso e dedicata al tema del gioco, declinato in chiave ludico-creativa, sociologica, con inchieste su dipendenza e pericoli e agonistica, con il racconto di avventure che si svolgono “sul campo”. Sono tre i progetti finalisti della call, selezionati- tra le numerose proposte pervenute anche per quest’edizione (oltre 50)- per originalità, attualità tematica, incisività narrativa e potenzialità commerciali del prodotto.
La raccolta fondi è partita il 5 novembre su Produzioni dal Basso e si concluderà il prossimo 24 gennaio: al raggiungimento della metà dell’obiettivo economico (fissato per tutti a 10mila euro), Infinity erogherà un cofinanziamento di 5mila euro per ciascuna campagna e i docufilm saranno inseriti -e quindi trasmessi- nel palinsesto di Infinity del 2019.
Ecco allora quali sono e cosa narrano i tre progetti scelti.
Vivaio Italia, di Luca Rinaldi
La nazionale italiana di calcio non è stata protagonista al mondiale 2018. La sconfitta di un movimento intero che nel giro di dodici anni dopo il campionato del mondo vinto in Germania non è più stato in grado di crescere una nuova generazione di calciatori di livello mondiale. Eppure i prospetti e le prospettive di giovani calciatori italiani non mancano, troppo spesso, però, li vediamo relegati alla panchina della serie A, oppure passare troppo tempo nelle serie minori in attesa di “farsi le ossa”. Mentre nei campionati esteri giovani talenti vengono gradualmente lanciati con la possibilità di allenarsi quotidianamente fianco a fianco dei calciatori che esprimono il massimo del calcio mondiale, in Italia il vizio di non guardare ai propri settori giovanili è una malattia che coinvolge tutto il movimento professionistico. Cosa pensano i protagonisti del “vivaio Italia”? I calciatori, gli allenatori, gli osservatori che vanno alla ricerca di nuovi talenti? Come lavorano? Cosa fanno per la crescita personale oltre che sportiva e professionale dell'atleta? Quanto le società professionistiche sono in grado di capire se in casa propria sta crescendo un talento vero? E quanto sono disposte a investire per la crescita, non soltanto del club, ma di un intero movimento che potrebbe portare di nuovo la nazionale sul tetto del mondo?
Pugni chiusi di Alessandro Best
Incassare per ripartire. Un po’ come sbagliare prima di capire, quindi riprendere la retta via. "Pugni Chiusi" nel carcere di Bollate è il progetto pugilistico nato nel 2016, rivolto a detenuti e polizia penitenziaria. “Parlare di pugilato è sempre difficoltoso, parlarne in termini di crescita umana e professionale ancora peggio, soprattutto quando devi raccontare a chi non ha mai preso uno schiaffo il perché la boxe può aiutare molte persone” spiega Mirko Chiari, che, con Bruno Meloni e Valeria Imbrogno, fa parte degli istruttori presenti a ogni allenamento. “Da ottobre 2016 svolgiamo anche due allenamenti a settimana, di un'ora ciascuno, rivolti al personale di polizia penitenziaria. Per i detenuti - oggi in 20 sono coinvolti nel progetto - abbiamo un giorno fisso alla settimana: il venerdì dalle 17 alle 19. I partecipanti provengono dai quattro dei sette reparti presenti al carcere di Bollate, circa la metà hanno un'età compresa tra 19 e i 30 anni. Abbiamo anche qualche ‘anzianotto’ di 51 anni che si difende molto bene”. Il documentario ha l'obbiettivo di raccontare come lo sport possa essere una grande leva emotiva per riemergere e costruire un nuovo futuro e di mettere in contrapposizione, la vita sportiva e sociale di un pugile detenuto con quella di un pugile "libero".
Alè di Giada Gentili
“Alè” è la parola più usata nel mondo dell’arrampicata sportiva (ascesa di pareti e montagne) in Italia e in Europa. Deriva dal francese “Allez” (“Forza”, “Su”): è un incitamento giocoso, un grido corale, una preghiera auto-motivazionale in situazioni difficili. Il free climbing è un tipo di sport difficile da spiegare a parole a chi non l’ha mai praticato. Nonostante i suoi rischi, affascina un numero sempre più alto di persone, anche in Italia e, ormai, si è svestito del ruolo di attività per pochi impavidi. Qualcuno lo prova per affrontare la paura dell’altezza, altri per imparare a concentrarsi o saper fronteggiare situazioni di criticità estrema. Una larga fetta lo sceglie come sport puro: per rafforzare la muscolatura e la resistenza. L’arrampicata, grazie a personalità come Alex Honnold, Margo Hayes, Adam Ondra, sta conoscendo un nuovo rinascimento dopo i gloriosi anni ’70. L’ultima delle imprese ha visto protagonista proprio Honnold, che il 3 giugno 2017 ha affrontato la “più grande sfida nell’arrampicata moderna”, scalando in free da solo (senza corde né protezioni) una via di 900 metri, in meno di 4 ore sul mastodontico El Capitan. Partendo da una palestra d’arrampicata sportiva romana, frequentata da studenti, lavoratori, padri di famiglia, appassionati di montagna, “Alè” compirà un breve e ascensionale viaggio documentaristico nel mondo di questo sport, che in alcuni casi (a livello dilettantistico o meno) riesce comunque a rivelarsi sorprendente e avventuroso.
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