“E agora Josè?” è il primo verso di una poesia di Carlos Drummond de Andrade, scrittore e poeta brasiliano. Sembra scritta apposta per il momento di Mourinho perché significa: e adesso, Josè? Ma continua così: la festa è finita, la luce si è spenta, la gente è sparita, la notte si è raffreddata. E adesso Josè? Adesso forse qualcosa è finito davvero.
I superpoteri dello Special One scricchiolavano da tempo, le sue provocazioni cominciavano a trovare interlocutori meno permeabili. Alle sue spalle il tabellone dei “tituli” cominciava a esibire etichette un po’ troppo datate. C’è l’Europa League del 2017 che è andata a unirsi a una Coppa di Lega e a una Community Shield vinte con i Red Devils e poi bisogna tornare indietro al 2015, con la doppietta campionato-Coppa di Lega con il Chelsea. Il Manchester United l’aveva preso per assicurarsi il vero definitivo erede di sir Alex Ferguson e invece ha finito per cacciarlo come un Moyes qualsiasi. Un triste destino per uno che è sempre stato abituato a doppiare gli altri nelle sue corse a 300 all’ora. Motivazione massima, provocazione applicata, strategia finalizzata alla vittoria.
Tutto questo ha funzionato per anni, agevolato dalla straordinaria vocazione al team building messa in atto dal profeta di Setubal. Quando si muove, si porta dietro uno staff composto da allenatori, osservatori, consulenti vari, ma anche videoanalisti, portavoce e sicuramente un autore, una persona che cura i contenuti delle conferenze stampa e i missili da tirare agli avversari. Tutto studiato nei minimi particolari, così come gli allenamenti che devono essere sempre competitivi al massimo, non devono durare più di 50 minuti l’uno e non devono mai essere uno uguale all’altro. Preparare tutto questo quando si guida una squadra è sintomo di grande professionalità e di applicazione scientifica delle proprie conoscenze, ma alla lunga può anche portare a un logoramento.
Non è facile inventarsi sempre qualcosa di nuovo e Mou lo capì il 22 maggio del 2010 quando decise di salutare l’Inter per allenare il Real Madrid. Un anno è poco, due sono una distanza ragionevole, tre sono troppe. Queste sono le avvertenze per chi volesse puntare ancora sull’istrione sale e pepe. Con una squadra di grandi giocatori che si lascino motivare e che non siano condannati a dare spettacolo per forza, qualche residuo dei suoi superpoteri potrebbe tornare a funzionare. Perditempo astenersi. Non hanno molto fondamento i rigurgiti nostalgici del tifo interista ebbro di Triplete. L’Inter di oggi non è quella di allora, forse può tornare a buoni livelli europei ma non può pensare di arrivarci con la bacchetta magica di Mou. Meglio costruire mattone dopo mattone. Ci sarebbe il Real Madrid, ma anche in questo caso si tratta di una squadra che deve ricostruire la propria identità. O ci sarebbe anche la Nazionale portoghese, che prima o poi gli farà un’offertta, ma la sua presenza su quella panchina significherebbe con ogni probabilità una addio definitivo di Cristiano Ronaldo alla maglia che tanto ha amato, fino a condurla al titolo europeo.
E adesso Josè? Adesso c’è la penultima strofa della poesia firmata da Carlos Drummond de Andrade che dice: “Se tu gridassi, se tu gemessi, se tu suonassi il valzer viennese, se tu dormissi, se tu ti stancassi, se tu morissi… Ma tu non muori. Tu sei duro, Josè”. Sulla durezza di Mourinho non ci sono molti dubbi. Ma adesso bisogna capire cosa succederà, chi avrà ancora fiducia in lui, chi avrà ancora qualche valigia di euro da investire sulla sua idea di calcio.
“E agora Josè?" Ora, forse, qualcosa è finito davvero. Anche se Mourinho...
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