Mister, dove vai se il tattico non ce l'hai?

Diventa sempre più importante la figura del match analyst: ecco perché

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“Con i ritmi di oggi i tecnici diventano ‘vecchi’ in fretta, hanno troppe cose da seguire e in un anno fanno solo un paio d’ore di aggiornamento in occasione della Panchina d’oro. Voi dovete essere i loro aggiornatori, i loro occhi sul mondo del calcio”. A parlare a una platea di match analyst di serie A e B riuniti a Coverciano è Maurizio Viscidi, coordinatore delle giovanili azzurre che ha  contribuito in maniera decisiva a rendere ufficiale la figura del tattico all’interno della Federazione. Ormai nessun tecnico può farne a meno.

“I match analyst devono essere una via di mezzo tra un allenatore e un esperto di software e montaggio”, spiega Antonio Gagliardi, tattico della Nazionale A dal 2008. Il loro lavoro (match analysis) consiste nel fare una analisi oggettiva delle prestazioni di un giocatore o di una squadra, metterla a disposizione dell’allenatore e, di concerto con lui, confezionare file/filmati da proporre ai giocatori per spiegare dove migliorare e come affrontare le gare. Il background è molto vario: il percorso di Simone Beccaccioli (oggi alla Roma) è iniziato con un impiego presso una società di postproduzione video; quello di Riccardo Scirea (Juventus) da una esperienza da allenatore minore (oggi ha il patentino per allenare in serie C e per fare il vice in A e B).

Oggi la Federazione ha creato un’area match analysis per tutte le Nazionali composta da 6 analisti, e ogni allenatore di serie A si avvale di questa figura, che si tratti di un suo collaboratore di fiducia (Pioli ne porta con sé sempre due) o che sia messo a disposizione dal club. Una figura che in Italia si è affermata solo in tempi recenti, dopo che Lippi vinse il Mondiale 2006 grazie anche al lavoro di Adriano Bacconi e Simone Beccaccioli, match analyst voluti espressamente da lui in Germania. Un anno dopo, la serie A si sarebbe messa al passo grazie a Claudio Ranieri: arrivato alla Juve sottolineò l’importanza del lavoro svolto dal tattico, figura già molto affermata in Inghilterra e da lui scoperta quando allenava il Chelsea. Gli fu messo a disposizione Riccardo Scirea, ancora oggi a capo dell’area match analysis del club bianconero.
Allegri sbotta in TV contro chi dà troppo peso all’aspetto tattico, ma la sua Juve si affida a ben tre match analyst che lavorano sulla prima squadra (Scirea più due), e altri tre sono al servizio delle squadre giovanili e femminili.

“I continui cambi di modulo proposti da Allegri in base all’avversario – spiega Gagliardi - testimoniano lo studio che c’è dietro e quanto lui si avvalga del lavoro del team di Scirea. Ma ha ragione anche quando dice di non sottovalutare gesti tecnici e qualità individuali”.
Per chi fosse interessato ai dettagli tecnico/tattici, ecco alcuni parametri attraverso i quali viene analizzata e valutata la prestazione di una squadra.

Prendiamo i passaggi: non vanno solo contati, vanno ‘pesati’. Viscidi ha così introdotto il concetto di ‘passaggio chiave’ o ‘killer pass’, cioè quel passaggio grazie al quale si supera la linea di pressione avversaria e si tagliano fuori giocatori avversari.  Nella stagione 2017/18, Jorginho in questa specialità è stato il migliore con 9,3 passaggi-chiave/gara (seguono Veretout 6,1; Badelj e Pjanic 6,0; Bonucci 5,8; Brozovic 5,7). Per intenderci: nei primissimi posti della classifica dei passaggi totali figuravano Koulibaly, Albiol, M.Rui, Chiellini, Benatia e Rugani, tutti assenti nella classifica dei passaggi chiave perché evidentemente più inclini al semplice passaggio interlocutorio laterale.
Poi c’è l’indice di pericolosità: non un semplice conto delle occasioni create o dei tiri effettuati. Il gioco (positivo o meno) si valuta in base alla sua efficacia (indice di pericolosità, appunto), che si ottiene sommando i punti assegnati a ciascuno dei seguenti eventi (punti legati a quante probabilità di goal possano scaturire da quell’evento): occasione da gol 10 punti; rigore 15, azione promettente 4; tiro dall’area 1,3; tiro di testa da dentro l’area 2,1; tiro da fuori 0,7; cross 0,2; punizione dal centro 1,8; punizione laterale 0,6; corner 0,6;  “E’ emerso – spiega Gagliardi – che in media si arriva al gol tra i 20 e i 45 punti di indice di pericolosità, diciamo che in media si segna ogni 30/33 punti. Così come si subisce un gol ogni 30/33 punti di indice di pericolosità da parte degli avversari”. Si scopre così che il record di solidità difensiva appartiene alla Juve di Allegri 2016/17: per farle gol, gli avversari dovevano raggiungere un indice di pericolosità di 46, numero che contro un’altra squadra con difensori meno forti avrebbe fruttato una o addirittura due reti.

E ancora. Il Manchester United ha chiuso la scorsa Premier con la migliore difesa (28 gol incassati), ma concedendo agli avversari un indice di pericolosità tale per cui avrebbe potuto subire tranquillamente 12 gol in più… Cosa significa? Che la difesa in realtà non ha funzionato e che i miracoli di De Gea hanno falsato la prestazione difensiva stagionale, comunque smascherata da questa analisi tattica che ci siamo limitati a spiegare a grandi linee.

Ovvio che ci possano essere singole partite in cui chi merita di vincere  in base all’indice di pericolosità finisce in realtà per perdere magari sull’unico tiro subìto, ma nell’arco di una stagione, sul lungo periodo, i dati dimostrano che tra i 20 e i 45 punti si segna un gol.
E ancora: perché proporre gioco offensivo? Lo studio di Gagliardi racconta che nei casi in cui la squadra A ha fatto gioco e creato occasioni tali da chiudere la partita con 30 punti di pericolosità in più rispetto alla squadra B,  la gara è finita così: vittoria della squadra A nel 90% dei casi; pareggio 7%; sconfitta della squadra A nel 3% dei casi.

Curiosità sulla Nazionale di Mancini. Abbiamo scoperto che nelle ultime gare in cui ha giocato benissimo e raccolto meno di quanto avrebbe meritato, ha trovato il gol intorno alla soglia dei 60/70 punti! Deve diventare più cinica.

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