Nanga Parbat, primati e pareti

Nella ristretta cerchia degli ottomila è la seconda montagna per mortalità: ecco cosa hanno tentato di scalare Nardi e Ballard

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Al Nanga Parbat Daniele Nardi ha dedicato gli anni migliori della sua carriera, i suoi sogni e la sua determinazione a lasciare un segno nella storia dell’alpinismo. Giusto quindi raccontare cos’è il “Nanga” e, così facendo, rendere omaggio al coraggio di Daniele ed a quello del suo compagno di cordata Tom Ballard, inghiottiti dalla montagna nel tentativo di scalarne – in pieno inverno - una delle vie più complicate. Tenendo bene a mente che, se nella graduatoria d’altezza dei quattordici Ottomila occupa solo il nono posto, la grande montagna pakistana è invece la seconda per mortalità dopo l’Annapurna (e addirittura davanti al K2) con il 28% dei decessi in rapporto al numero degli scalatori giunti in vetta.

Il Nanga Parbat, le sue pareti ed i suoi primati, potremmo dire. Un sistema montuoso piuttosto isolato rispetto ai giganti del Karakorum e dall’Himalaya e dall’aspetto simile a quello di un colossale catino. Più … nobilmente un anfiteatro, la cui concavità, rivolta a nordovest, è occupata dalla parete Diamir, al centro della quale si trova lo Sperone Mummery, oggetto dal 2013 al presente delle attenzioni di Nardi: un colossale “naso” di roccia incrostata di ghiaccio, conficcato nel mezzo della parete stessa, che si sviluppa verticalmente per un migliaio di metri e sfocia nel plateau glaciale soprastante, sul quale è come “poggiata” la piramide sommitale, che culmina agli 8126 metri della vetta principale. In pratica un montagna piazzata sopra un’altra montagna.

Prima che da Nardi, Ballard e da decine di altri alpinisti, il Nanga Parbat alle origini della storia dell’alpinismo è stato studiato da Albert Frederick Mummery che ha dato il suo nome allo sperone teatro della recente tragedia, e che perse la vita nel 1895 nel corso di una scalata di ricognizione in direzione di un altro versante della montagna: la parete Rakhiot, rivolta a nord-est e scelta da Hermann Buhl per la prima ascensione fino alla vetta (nel 1953, in solitaria e senza l’ausilio delle bombole d’ossigeno). Toni Kinshofer, autore nove anni dopo della seconda scalata, (dal versante Diamir, itinerario che ancora oggi rappresenta la via normale) sulla strada del ritorno vi perse un compagno di cordata subendo (lui stesso ed un altro compagno) gravi congelamenti ed amputazioni ai piedi ed alle mani. Vi ebbero origine anche le peripezie di Heinrich Harrer, rese note prima dalla letteratura d’avventura (“Sette anni in Tibet”) e più recentemente amplificate dal cinema. D’altra parte, per gli alpinisti tedeschi e l’ideologia nazista tra le due Guerre Mondiali il Nanga Parbat era - piuttosto sinistramente - lo “Schicksalberg” per eccellenza: la Montagna del Destino. Le popolazioni di lingua urdu lo chiamano “montagna nuda”, gli sherpa himalayani “mangiauomini” e “montagna del diavolo”, mentre per gli alpinisti del resto del mondo è “Killer Mountain”, la montagna assassina. Lungo la parete Diamir perse la vita nel 1970 Guenther Messner (dopo aver toccato la vetta salendo insieme al fratello Reinhold – primi nella storia - dal versante Rupal) nel corso di una drammatica discesa che per trentacinque anni ha rappresentato un caso dolorosamente aperto, con lo stesso Reinhold ingiustamente accusato di aver abbandonato il fratello.

E se la Mazeno Ridge con i suoi oltre dieci chilometri di sviluppo è considerata la cresta più lunga al mondo (origina dalla vetta, allinea nel suo percorso otto vette sopra i settemila, descrive un arco costante per poi “sterzare” bruscamente e spegnersi nel ghiacciaio Diamir), temutissima è anche la terza grande parete della montagna: la Rupal, teatro della vicenda Messner 1970, che guarda verso sud e dalla sua base raggiunge la vetta della montagna con un salto verticale di oltre quattromila metri che ne fa la parete continua più alta del mondo: un altro dei primati del Nanga. Mentre i settemila metri che, lungo il versante nord-est (Rakhiot) separano il fondovalle dell’Indo dalla vetta principale, distante ventisette soli chilometri in linea d’aria dal grande fiume, rappresentano uno dei dieci maggiori dislivelli dell’intero pianeta.

Pareti e primati, appunto. Ma soprattutto pareti. Lungo le quali, per Tom Ballard e Daniele Nardi un giorno un crollo, una valanga: come tante altre volte, come nessuna.

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