Daniele Nardi: i misteri del Nanga-Parbat

Il ritratto dell'alpinista e il suo pensiero nell'intervista alle 'Iene' rilasciata prima di partire per il Pakistan

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"Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile e però non si è arreso. E se non dovessi tornare vorrei dire a mio figlio: non fermarti, non arrenderti, datti da fare perché il mondo ha bisogno di persone migliori, che facciano si che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea”. Questo il pensiero finale di Daniele Nardi nell’intervista rilasciata alla trasmissione televisiva “Le Iene” alla metà dello scorso mese di dicembre, prima di partire per il Pakistan ed il Nanga Parbat.

PREMESSA
Alpinista anarchico, romantico, non allineato. Sono tutte definizioni che – con il dovuto rispetto e con le cautele del caso - calzano bene a Daniele Nardi. Potremmo riassumerle in una parola sola: un outsider. Però non un alpinista d’altri tempi: al contrario. Addirittura personaggio “social” e poi ancora (carica alla quale teneva moltissimo) Ambasciatore per i Diritti Umani nel mondo. Questa premessa serve a focalizzare sul contesto generale e sulla personalità dei suoi protagonisti la nostra ricerca intorno alla vicenda della scomparsa di Daniele e del suo compagno di cordata Tom Ballard nel corso del tentativo di scalare in prima assoluta invernale lo Sperone Mummery al Nanga Parbat. Occorre procedere per singoli capitoli, appunto, con la circospezione dovuta ad ogni singolo passo, proprio come accade a chi affronta una parete, una via alpinistica di elevato impegno. Con il solo intento di provare a capire, non certo la pretesa di spiegare oppure giudicare.

NARDI, DAI LEPINI AL NANGA PARBAT
Daniele Nardi è nato nel 1976, a Sezze Romano, in provincia di Latina. Lontano dalle montagne più alte del pianeta ma anche solo dalle Alpi, sui cui pendii gli alpinisti più o meno noti al grande pubblico mettono piede appena fuori dall’uscio di casa. Lui dietro casa aveva le modeste elevazioni dei Monti Lepini. Ne aveva fatto il primo, indispensabile passo verso una brillante carriera. Un uomo dotato di coraggio da vendere, Daniele, pronto a sfiorare il limite, ad accarezzarlo, a metterci le mani sopra, cercando l’appiglio: senza garanzia di trovarlo. Perciò, disposto a tutto per realizzare il suo sogno, soprattutto dopo essersi a più riprese “scottato”. E già questo dice molto. Forse proprio la sua storia personale ne ha fatto un alpinista un po’ ai margini. Ciò che a sua volta (naturalmente insieme all’incertezza sulla sua sorte) sta forse alla base del sostanziale rimanere ai bordi della vicenda da parte di altri alpinisti di punta anche e soprattutto italiani nei giorni delle operazioni di soccorso prima, poi ricerca. Una scelta più che comprensibile appunto ma comunque – questo va detto - abbastanza anomala rispetto ad altre vicende simili del passato. Sulla vetta del Nanga Parbat, Nardi era già salito nella “buona stagione”, lungo la Kinshofer Route: la via normale alla vetta. La grande montagna pakistana era uno dei cinque Ottomila da lui portati a termine, insieme a K2, Everest, Cho Oyu e Broad Peak. Aveva invece abbandonato la spedizione che nel 2016 avrebbe in seguito completato la “prima” invernale” del Nanga per disaccordi mai del tutto chiariti con gli altri membri delle due spedizioni impegnate contemporaneamente in parete: da una parte gli italiani Simone Moro e Tamara Lunger, dall’altra (insieme a Daniele) lo spagnolo di etnia basca Alex Txikon ed il pakistano Muhammad Ali Sadpara , questi ultimi due tra i più attivi nelle operazioni di ricerca di Nardi e Ballard, Txikon sospendendo tra l’altro la sua spedizione invernale al ”vicino” K2). Un episodio controverso, quello del 2016,che fa il paio con quello dell’inverno precedente, quando Nardi aveva accusato il polacco Tomasz Mackiewicz e la francese Elizabeth Revol di essere partiti per un tentativo di vetta (sulla stessa via) senza dargliene comunicazione (fino a quel momento avevano formato un’unica spedizione). Mackiewicz e la Revol avrebbero poi completato nel 2018 la prima invernale ed assoluta della via Messner-Eisendle al Nanga. Nella discesa Tomek era precipitato in un crepaccio perdendo la vita (è ancora oggi dispero sulla montagna) mentre la Revol era stata tratta in salvo da una spedizione di salvataggio e Daniele nell’occasione aveva dato il suo contributo dall’Italia in termini di conoscenza dei luoghi, mobilitazione generale e collegamento. Lo stesso Nardi nel corso della spedizione polemicamente abbandonata nel 2016, aveva salvato un altro alpinista polacco – Adam Bielecki – da un brutto volo in piena parete, riuscendo a trattenerlo. Insomma, una storia complessa, tormentata e controversa, quella dei tentativi di Nardi di “firmare” la prima invernale del Nanga Parbat lungo la via Kinshofer. In ogni caso, dal suo punto di vista un capitolo chiuso per sempre dal successo dei suoi ex compagni Moro, Txikon e Sadpara. Per entrare nella storia dell’alpinismo (era questa la sua grande ambizione) non gli restava che mettere a frutto la sua vasta esperienza sul Nanga rivolgendo (anzi tornando a rivolgere la sua attenzione) allo Sperone Mummery.

RITORNO ALLO SPERONE

Prima di quest’anno, Daniele Nardi era aveva già tentato lo Sperone nella stagione invernale (fin dal 2013, allora in cordata con la Revol). Era lì per “lui”. Vi tornava per la quinta volta. Ogni volta lo stesso richiamo irrinunciabile. Stregato dallo Sperone, un canto di sirena. Aveva quindi ormai ben compreso quanto l’impresa fosse complicatissima, al limite del proibitivo. Ma, dopo gli avvenimenti del 2016, dal suo punto di vista appunto non aveva alternative. Quella era “La Via”. Lo Sperone prende il nome da Albert Frederick Mummery, pioniere dell’alpinismo ed in un certo senso “scopritore” del Nanga Parbat. Fino a perdervi la vita nel 1895, nel corso di una missione esplorativa a cavallo tra le pareti Diamir e Rakhiot. I dettagli sui singoli aspetti dei tentativi di Daniele su questo enorme “naso” di roccia e ghiaccio che si staglia per oltre mille metri di altezza proprio al centro della parete Diamir (versante nordovest) lasciano ora il tempo che trovano. Ma non è così per la questione di fondo. Occorre riflettere (non giudicare) sull’ostinazione a provare e riprovare, anno dopo anno, anzi inverno dopo inverno, lungo una via disseminata di difficoltà e carica di rischi quanto lo è di neve e blocchi di ghiaccio (seracchi) il plateau sovrastante lo Sperone, che lo separa dalla piramide sommitale della montagna. Una sfida enorme. Di più: un azzardo - difficile definirlo altrimenti - al quale Daniele e Tom hanno pagato il prezzo più alto. Già, Tom. Ma perché proprio Tom Ballard?

LA SCELTA DI TOM
Tom Ballard aveva trentuno anni (dodici meno di Nardi). Era nativo del Derbyshire, in Inghilterra. Veniva dal Peak District ma era di casa in Val di Fassa, doveva infatti viveva con la fidanzata Stefania. Nel suo “zaino” c’era uno straordinario exploit: sei grandi pareti nord delle Alpi scalate in un solo inverno (quello 2014-2015) tra Dolomiti, Eiger, Monte Bianco, Pizzo Badile e Cervino: il progetto “Starlight And Storm”. Tom era figlio di Alison Hargreaves, la fortissima Alison Hargraves, scomparsa nel 1995 sul K2, esattamente tre mesi dopo aver scalato in solitaria l’Everest, quando Tom era un bambino di sette anni. Alison che aveva scalato la Nordwand dell’Eiger quando di Tom era incinta. Ma, a parte tutto questo: perché Tom? Un climber di gran classe, un alpinista sopraffino, aveva salito vie d’arrampicata di difficoltà estrema sulle Dolomiti anche insieme a Bruno Pederiva, padre della fidanzata. Era però a corto di esperienza nelle spedizioni extraeuropee. Alla corda di Daniele Nardi Tom si era già legato una volta, per tentare una vetta inviolata, anche allora in Pakistan, anche allora in stile alpino, leggero e “sostenibile”, distante anni-luce dalle mega-spedizioni che puntualmente anno dopo anno stringono d’assedio gli Ottomila di Himalaya, Karakorum e Kashmir. A Nardi Tom aveva detto, a proposito del Nanga: “Daniele, quando decidi di andare, io vengo. Proviamo”. Ma i punti di domanda rimangono: quella di Ballard, da parte di Nardi, resta una scelta che può far riflettere, che può far discutere a lungo. Forse non era la cordata giusta per lo Sperone. Insomma, uno dei misteri che questa vicenda propone, anzi impone ma che lascia sostanzialmente aperti ed insoluti. Uno dei tanti misteri del Nanga, uno di quelli che semplicemente non muoiono mai, perché a ben vedere risalgono indietro nel tempo fino ai tempi di Mummery e sono destinati a riaprirsi in futuro, come ferite che non si rimarginano mai completamente.

CONCLUSIONE
C’è una foto sul web: mostra Daniele Nardi che, su un pianoro innevato nei pressi del campo base, inquadra con lo smartphone la nuvola colossale di una valanga che travolge proprio lo Sperone, celandolo completamente alla vista. Fa riflettere e molto altro ancora. Sui rischi esagerati connessi a quella via. Lui e Tom Ballard sono ormai parte della storia della montagna e le circostanze della tragedia (cosa è successo? Esattamente quando? quale l’ultima immagine registrata dai loro occhi, quale l’ultimo pensiero?) sono destinate a rimanere in qualche modo per sempre sospese. Forse allora è bene che in sospeso resti anche il nostro giudizio o anche solo la sua pretesa: subito prima di essere centrata da una scarica di pietre, travolta da un seracco, spazzata via dal soffio potente della valanga.

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