Proviamo a parlare di calcio, va’, che soldi, bilanci, rossi, squalifiche, non squalifiche hanno riempito la giornata di ieri, un po’ troppo anche. Uefa, ma anche Uffa: molte considerazioni si potrebbero fare sul deferimento del Milan per le questioni legate al Fair Play Finanziario, ma al momento sarebbero pressoché inutili, costruite sul nulla in quanto ancora tutto in divenire. La parola, allora, passi solo all’A.C. Milan, glorioso e amato club che in Champions League, al di là di qualsivoglia esito delle battaglie di Nyon, ci deve andare, punto. E poi si vedrà.
Per andarci, sabato si transita da un crocevia fondamentale, all’incrocio, col motore acceso, c’è la Lazio. “È una finale”, ha esclamato Rino Gattuso, da tempo iscritto al frequentatissimo club del più gettonato luogo comune delle primavere del pallone: “da qui in poi sono tutte finali”, “giocheremo tutte le partite come una finale”, e via stereotipando sul tema, carissimo agli allenatori ancora più che ai calciatori.
Registrato che oltre per la sua banalità, il leit-motiv della finale irrita oltremodo per ragioni di sfiga, visto che quest’anno è stato tirato fuori in vista del derby, si deve ricordare che fino a oggi le finali vere non hanno detto bene al Milan gattusiano, che tuttavia negli scontri “vinci o muori” disputati in Italia è andato a sbattere proprio nei due ultimi atti contro la Juve in Coppa Italia e in Supercoppa.
Con formula in partita secca o doppia, il Diavolo di Rino ha generalmente fatto bene, se è vero che ancora nessuno, in un anno e mezzo, è mai riuscito a sbattere fuori il Milan dalla Coppa Italia, un nessuno che durante i due percorsi ha preso a turno i nomi di Inter, Napoli, Lazio, appunto.
Testa e cuore più leggeri in Coppa? Probabile, anzi certo. Nessuno ha mai chiesto nulla di particolare, e la squadra ha sempre risposto benissimo, cosa mancata invece in diversi big match di campionato che valevano doppio, soprattutto nei derbies con l’Inter. Secondo qualche frequentatore milanelliano, succede per sovraccarico di tensione generato dal mister e non assorbito dai giocatori (diversi) più “pechofrio” (serve traduzione? Tiepidini, dai) che finiscono poi per scendere in campo molto contratti e incartarsi alla prima curva.
Si deduce allora che come della Lazio bisogna preoccuparsi della settimana pre-Lazio, della preparazione psicologica oltre che di quella tecnica. Perché al netto di qualsiasi scelta, la mission vittoria è impossible se l’atteggiamento psicologico sarà quello sbagliato. A Torino, il Milan è stato sul pezzo, deciso, voglioso di giocarsi una partita in cui - forse - il fatto di essere palesemente sfavoriti ha liberato teste, cuori e gambe. Con la Lazio è l’esatto contrario, e allora Gattuso deve provare a prepararae per sabato a San Siro la stessa ricetta, e al diavolo “la finale” e le sindromi che girano attorno a una parola significava solo ciò che effettivamente indica. Una parola che al Milan innesca nostalgie, ricordi, immagini di un passato appena qui dietro le spalle. Sì, parliamo di Champions, cara Uefa, di lustri di trionfi, di una squadra ammirata da tutto il mondo. Fischiano le orecchie?