È morto Niki Lauda, ed è una notizia incredibile che non può non sembrarci maledettamente triste. Ma come? Lui che è stato un sopravvissuto, lui che ha vissuto almeno due volte, lui che è passato per le fiamme di una specie di inferno, lui che ha superato due trapianti di rene. Ma come - dicevamo - lui che è stato un eroe a quattro ruote non doveva, non dovrebbe, essere immortale?
Niki Lauda se n'è andato come un uomo qualunque, a 70 anni, a causa di una brutta malattia e dopo un trapiano di polmone subito il 2 agosto a Vienna. E non importa se si è portato per una vita sul volto quella "maschera" che ricordava al primo sguardo che al destino, qualche volta, si può pure sfuggire. Non importa se non aveva l'attraente follia del suo amico-nemico James Hunt e se per questo ci ha fatto appassionare un millimetro di meno. Niki Lauda se n'è andato e quello che lascia, insieme al ricordo dei suoi successi, è un vuoto che è una voragine dentro il mondo della Formula 1 e tutt'attorno. Perché lui, semplicemente, è stato ed era la Formula 1: una curva, un rettilineo, un sorpasso, il rombo di un motore, la lucida freddezza del pilota, il coraggio, la meticolosità, l'attenzione, la determinazione. Un computer, per dirla con un termine soltanto. Oppure uno che nasce ogni tre generazioni e forse nemmeno. Unico. Nel suo genere.
Unico certamente perché era sopravvissuto davvero: Nürburgring, Gran Premio di Germania, 1° agosto 1976. L'incidente, la sua auto che brucia, il provvidenziale intervento di Harald Ertl, Guy Edwards e Brett Lunger e poi quello decisivo dell'italiano Arturo Merzario, che lo estrae dalla monoposto in fiamme. E ancora i giorni in ospedale, le gravi ustioni e le possibili conseguenze dell'inalazione dei velenosi fumi di benzina che potevano aver danneggiato polmoni e sangue con conseguenze letali. La seconda vita di Lauda comincia lì, il 5 agosto, quando viene dichiarato fuori pericolo. Avrebbe potuto finirla così, d'altronde aveva già vinto un Mondiale. Invece tornò e vinse ancora due volte: nel 1977 con la Ferrari e poi nel 1984 con la McLaren.
Dentro la sua guida fredda ed equilibrata, è stato capace di "piccole indecisioni": due ritiri, il secondo definitivo, due mogli (con cinque figli totali compresi due gemelli), una compagnia aerea con il suo nome, due (di nuovo) trapianti di rene. Il primo donato dal fratello Florian nel 1997, il secondo dalla figlia Birgit nel 2005. Fino all'ultimo, inutile, di polmoni.
Nella sua vita clamorosa non potevano mancare un film (Rush, firmato da Ron Howard) sulla sua rivalità con James Hunt e numerosi riconoscimenti, come l'ovvio inserimento nella International Motorsport Hall of Fame nel 1993. Ovvio, certo, perché Lauda è stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1. Vivendo, morendo (quasi), vivendo di nuovo e infine morendo. Anche se viene da non crederci. Anche se viene il magone. Ma come, non era immortale? No, nemmeno gli eroi lo sono. E allora ciao Niki, per una volta senza aver troppa fretta di arrivare. Perché prima o dopo, tanto, oltre un traguardo, ci si rivede.