Sono giorni bellissimi e insieme duri, questi, per parlare di Milan. La seconda metà di maggio è un florilegio di anniversari dolci, gli scudetti, le Coppe Campioni: oggi, per esempio, se ne celebrano due, quella del 1990 a Vienna (1-0 al Benfica, Frankie Rijkaard eroe) e quella del 2007, Atene, la vendetta sul Liverpool, la settima. Questa è particolare, come ricorrenza, perché è rimasto l'ultimo grandissimo hurrà, a fine anno seguirono la Supercoppa e il trionfo mondiale di Yokohama, poi il buio, almeno a livello internazionale. E la fine del tunnel, ancora, non si vede, anzi.
In una parabola tristemente decoubertiniana, per il Milan l'importante è partecipare, alla Champions League, altro che vincere: dodici anni dopo, gli spasmi e le speranze da grande attesa sono trasferiti a Ferrara, su una partita da quarto posto, è la passione dei cuori rossoneri l’unico comune denominatore tra l'oggi e quelle indimenticabili giornate. È tuttora uno switch mentale difficile, per chi quei tempi ha vissuto, dura rassegnarsi, abituarsi, accettare una condizione che continuerà nei prossimi anni: ma bisogna farlo, bisogna essere più realisti del re, per il bene del Milan e del proprio cuore rossonero.
C'era una volta il Club più titolato del Mondo; domani ci sarà una sorta di Arsenal, o ancora più precisamente una riedizione metropolitana del Lille, club della periferia francese senza grande tradizione recentemente rilanciatosi grazie all’appoggio finanziario dell'attuale proprietà del Milan e a una ricetta apparentemente semplice: scovare giovani talenti, acquistarli a poco prezzo, valorizzarli e rivenderli per potere realizzare una plusvalenza, parola attorno alla quale girerà intorno il prossimo futuro della società a noi cara. Una parola che con ogni probabilità trancerà i fili con Leonardo, validissimo dirigente, ma non altrettanto califfo del mercato e soprattutto dello scouting, delle reti che ti consentono di pescare – oltre che molti pesci piccoli e pessimi, preparatevi – quei tre, quattro, cinque che consentono poi il grande incasso. Per questo progetto serve un'altra figura, dicono che sia già sulla soglia di Casa Milan l'artefice diretto del sistema Lille, il portoghese Campos, che vanta già un notevole curriculum in questo senso. E sempre da lassù, potrebbe arrivare qualche talento che ha spinto la squadra fino a un sorprendente secondo posto in campionato: i nomi fanno sorridere – Bamba, Pepé, Soumaré – ma tant'è. Se sono forti, ben vengano. La provinciale francese che si innesta nel cuore di uno dei club più vincenti e popolari della storia del calcio, e non è il caso di fare gli schizzinosi: è la via per salvare la capra dei bilanci dissestati e nel mirino dell'Uefa e i cavoli del progetto sportivo, di una realtà del campo che negli ultimi sette anni e attraverso tre proprietà ha avuto come unici fili conduttori quelli dell’improvvisazione e dello spreco di risorse comunque importanti (vedi alla voce “Milan cinese”).
Se la nuova svolta corrisponde finalmente al perseguimento costante, a medio-lungo termine di una via che tra l'altro – anche se logicamente per brevi periodi – consenta anche di rivedere tanti giocatori di qualità in rossonero, ben venga il Diavolo in Lilla. Basta che poi si ri-trasformi nel Diavolo vero, unico, grande. Nel frattempo qualcuno ci sfotterà sul Milan dei Bamba: ma se ci pensate bene ne abbiamo avuti di bamba veri, negli ultimi anni, in campo e fuori. Fateli parlare, e sediamoci ancora una volta vicino alla "nostra carissima Associazione".