Ce ne fosse mai stato bisogno, ecco che da Roma arrivano notizie che proiettano ancora maggiore luce sugli ultimi giorni del Milan, titolati – in senso giornalistico – sulla ufficializzazione degli alti ruoli dirigenziali assegnati a Paolo Maldini e Zvonimir Boban. La vicenda di Totti e del suo imminente addio dopo 30 anni alla Roma scuote e fa riflettere sulle complesse "modalità d'uso" di nomi e uomini che sono sinonimi del club stesso, punti di riferimento per milioni di appassionati.
Essere Totti per la Roma, Maldini per il Milan, Zanetti per l'Inter non significa automaticamente essere in grado di prendere decisioni fondamentali, esprimere scelte tecniche, condurre un'amministrazione: però, come si dice negli scacchi, "pezzo toccato, pezzo mosso", vale a dire che se la società ha deciso di introdurre una figura così importante nel proprio organigramma non può poi metterla nell'angolo, o peggio prenderla in giro con incarichi roboanti nella forma e parecchio vuoti nella sostanza. Tornato dopo 9 anni alla casa madre, Maldini ha forse rischiato la fine di Totti dopo una stagione in cui se da una parte ha potuto compiere anche un periodo di apprendistato e di reciproca conoscenza con la proprietà, dall'altra è vissuto all'ombra di Leonardo, con il quale avrà avuto pure un buon rapporto, ma che di fatto gli impediva una decisionalità netta sulla gestione di giocatori e allenatore: e vale la pena ricordare che proprio le frizioni tra Leo e Gattuso sono tra le ragioni della grande occasione mancata Champions.
Arrivati al bivio, però, Ivan Gazidis ha cancellato compromessi, situazioni ponte, ambiguità, doppioni: a Maldini ha offerto le chiavi della macchina, ma soprattutto la macchina nella forma di un'altra figura dirigenziale primaria, ma non sovrapposta, nella persona di Zvonimir Boban, indicato proprio da Paolo; e quindi di un direttore sportivo (Massara), di un nuovo responsabile del settore giovanile (Angelo Carbone) e, last but not least, di Marco Giampaolo espressamente scelto dal nuovo direttore tecnico nel momento in cui – qualcuno ha già dimenticato – è stato Rino Gattuso a dire di no a una possibile conferma. Potrà andare bene, meno bene o male: ma nessuno, manco per scherzo, può imputare alla società di avere agito con chiarezza prima, nei confronti di Maldini, e coerenza dopo. L'esatto contrario di quanto fatto dal connazionale di Paul Singer, Jim Pallotta, che aveva e ha il diritto di stringere la compagine societaria intorno a uomini diversi, e nella fattispecie Franco Baldini: non ha però quello di usare Francesco Totti, o creare appositamente l'incidente che inneschi la sua rinuncia evitando uno scomodissimo benservito. Non ha soprattutto il diritto di pigliarla per i fondelli. Ecco, sottolineiamo allora che al Milan, in questo momento storico, c'è la bandiera, ma soprattutto c'è anche l'asta in cui infilarla, e che permette di sventolarla, di usarla come deve essere usata. Sarà pure una proprietà di passaggio, questa, con chiari motivi di lucro: sapranno muovere i soldi, ma l'impressione è che sappiano anche muovere gli uomini.