Chissà se c'è ancora in giro una copia di una bella “Storia del calcio" scritta 40 anni fa (ahimé) da un grande del giornalismo sportivo italiano, Gian Paolo Ormezzano. In questo libro, un capitolo era dedicato alle principali squadre nostrane, con un profilo che ne tratteggiava le caratteristiche base, nello stile vero e proprio di una biografia. Del Milan, Ormezzano scrisse che “è squadra che più delle altre si è legata a grandi campioni e al bel gioco, talvolta anche a scapito del risultato”.
E quel volume, in quell'epoca, si fermava all'ultimo Rivera, allo scudetto della Stella. Poi c'è stato tutto il resto, Sacchi e Ancelotti, gli olandesi e gli altri Palloni d'Oro, le Coppe e gli scudetti. Ma il punto è che prima del 2012 ci sono stati anche punti di luce negli anni apparentemente bui o senza feste finali, e voglia di andare a San Siro per vedere calcio, oltre che per tifare Milan.
Il caso limite, per quelli della generazione tempie grigie di cui faccio parte, è quello della seconda Serie B, stagione 1982/83. Serie B, sì, però vissuta divertendosi, stravinta da una squadra veloce, tecnica, moderna, che segnò oltre 100 gol in stagione, con talenti poi diventati grandissimi come Baresi, campioni veri come Tassotti, Evani, Aldo Serena e gente che sapeva davvero come trattare un pallone, alla Vinicio Verza. Allenatore, lo ricordiamo sempre, Ilario Castagner. Il vero buco, la vera voragine degli ultimi sette anni è stata questa, almeno per noi che abbiamo goduto a nastro nei 25 anni felici di Berlusconi: avere perso la strada del calcio tecnico, fatto bene, di giocatori di talento al di là del rendimento complessivo.
Nel 2009 e nel 2010 non si ė vinto nulla, ma andavi allo stadio e vedevi Ronaldinho, santo cielo. Non puoi svegliarti un giorno e non trovare più per secoli un giocatore che ti prenda l'attenzione, non si può andare al secondo arancio o tenersi libero il televisore perché “c'è il Milan" ed è la passione a fartelo accendere, non certo la garanzia – o peggio, la speranza – di uno spettacolo calcistico. Era la cultura del Milan, lo è sempre stata, anche in B. Ed è stata demolita da gestioni societarie distanti, insensibili, inesistenti, raffazzonate. Poi certi allenatori ci avranno messo del loro, ma il materiale umano a disposizione è stato per gran parte assolutamente inadatto a continuare la tradizione.
Per questo, ieri, è stato così importante sentire il nuovo, ennesimo allenatore, mai stato prima manco un giorno in rossonero, infilare tra altre frasi più di circostanza concetti che pensavamo esistere solo nella nostra testa di milanisti e milanologi: “il club che ha sempre ricercato la bellezza", “l'estetica oltre il risultato", “il Milan ha cultura di gioco". Tutto vero, tutto cancellato. Ora fenomeni non ne arriveranno, gente di primissima scelta nemmeno, le questioni di bilancio le sappiamo tutti: ma davvero, la dirigenza, nel rispetto di una politica fatta anche di sacrifici, faccia di tutto per dare a Marco Giampaolo dei bravi giocatori, a centrocampo, sulle fasce, ovunque. Non importa se in prestito, se di passaggio, italiani o stranieri, giovani e meno giovani. Solo che siano forti, capaci di giocare a calcio, vogliosi di mettersi a disposizione. E poi, cerchi di fare lavorare il tecnico nelle migliori condizioni.
Personalmente, ho una disperata voglia di reincontrare un Milan anche solo bello, non vincente, non ė fondamentale, oggi. Voglio applaudire per la gran parte dei weekend, andare in redazione e dire “ieri abbiamo giocato proprio bene", penso sia successo al massimo 10 volte – random – negli ultimi 5 anni. Ho fiducia che Marco Giampaolo, che conosce il gioco e la cultura del calcio, possa riportare l'Associazione Calcio Milan almeno a questi obiettivi, ed è per questo che oggi tutti i milanisti devono schierarsi dalla sua parte, e dalla parte di una società dove la grande cultura rossonera sta scolpita in Paolo Maldini e Zvonimir Boban. Buon viaggio mister, con tutta la fiducia possibile. E tanto per cominciare, grazie per quelle parole, milaniste al 100%.