Bisogna avere fatto qualcosa di davvero grave, milanisti, se Babbo Natale prima e la Befana poi non ci hanno portato lo straccio di un gol. Nella porta avversaria, si intende, i cinque palloni di Bergamo sotto l'albero li ricordiamo, li ricorderemo, invece. L’impotenza rossonera è conclamata, cronica, irreversibile, l’unica speranza è che con le settimane possa avere un qualche effetto la cura Ibrahimovic, Viagra per il momento solo per l'entusiasmo, valvola di sfogo di un tifoso che non ne può veramente più di contare in queste teste molli, in una banda composta – con pochissime eccezioni - di tutti mediocri (o peggio) nei piedi e nell'animo, che si agita per 90 minuti e poi, davanti alla porta, rifiuta proprio il concetto del colpo, dell’atto di forza chiamato gol.
Non serviva Zlatan e le sue parole del dopo Sampdoria per accorgerci che il male insanabile del Milan 2019/20 è il carattere, la risorsa mentale che può ridurre, o addirittura eliminare, i tuoi limiti. “Mancano fiducia e cattiveria”, hai detto niente, e il punto è che l’aveva scritto due secoli or sono Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi che se uno non ha il coraggio, non se lo può dare. Non c'è trapianto, non c'è psicologo, è già qualcosa – lo ha sussurrato qualcuno del kindergarten Milanello – che c'è il capo Ibra e dà un po' di sicurezza in più, si sa mai di incontrare brutta gente in campo. Questo il terreno arido, infertile su cui il normalizzatore Pioli dovrebbe cercare di seminare qualcosa, ormai in vista della prossima stagione datosi che questa è ufficialmente già finita, a meno di volere insistere su una speranziella chiamata Europa League. Il tecnico, dal punto di vista ambientale e psicologico, ha già alzato bandiera bianca dopo Bergamo, quando ammise con candore che Ibra “avrebbe portato più intensità e voglia negli allenamenti”. Sul campo, però, potrebbe almeno ricorrere a una estrema ratio applicata in genere in tutti i casi disperati: mettere una bella X su tutte le proprie personali convinzioni tattiche, sull’attesa o sull'insistenza di certo giocatori, selezionare i 13-14 meno peggio (nel caso del Milan, improprio parlare di migliori) e cercare di cucire un impianto intorno a questi elementi. Prendere il poco di buono che c'è (il portiere, il capitano, Hernandez, Bennacer, ovviamente Ibra) e metterci vicino chi ancora dà qualche segno di vita.
Difesa a tre? Due punte? Due mediani? Vale tutto. È una questione extra-tecnica, extra-tattica. È un tipo di scelta tristissimo, per un allenatore, non è veramente calcio. Eppure, a questo siamo arrivati. Serve, per il presente e per il futuro, fare selezione all'entrata, accantonando personaggi che in questo momento non possono più essere utili alla causa e rischiano di risultare ancora più dannosi perché ormai scollegati dalla squadra e da una delle sue componenti fondamentali, i tifosi, che hanno abbondantemente e comprensibilmente superato il pur altissimo limite di sopportazione, di credito per diversi ronzini che vestono il rossonero. Operando questo tipo di taglio e analizzando per l'ennesima volta personaggi e interpreti, è difficile o impossibile arrivare agli 11 del fischio d'inizio, altro che 13-14: con il mercato aperto e il campionato chiuso, logica imporrebbe dunque di cominciare subito l'ennesimo ricambio, l’ennesima ricostruzione. Sì, ciao. Già comperare, o farsi prestare, è un problema, di idee e di visione (chi sarà il prossimo tecnico? Qualcuno pensa davvero che possa proseguire Pioli?) ancora prima che di famigerati soldi; ma soprattutto vendere, essere capaci di farlo,realizzare un minimo di cassa e liberarsi di qualche irrecuperabile sembra ad oggi un capitolo di un libro di fantascienza. 2020 Odissea nello Strazio, strazio a tinte rosse e nere, potrebbe intitolarsi così, quel libro.