Per gli irriducibili del trailrunning non c’è inverno che tenga, non ci sono festività che tengano! La prima chance dell’anno di affrontare mulattiere e sentieri - ad un certo livello ed in forma competitiva - arriva con la Corsa della Bora che, come facilmente si evince dal nome, ha luogo tra Trieste e la Slovenia, tra le alture del Carso e le coste dell’Adriatico.
Cinque le distanze in programma: 16, 21, 57, 168 e la prova “mostre” da 173 chilometri, vinta dall’altoatesino Peter Kienzl e contraddistinta dalla presenza di cinque atleti diversamente abili che - nell’ambito del progetto “Iperatleti” -durante tutto l’arco della prova hanno monitorato con il gps, assistito materialmente e motivato nei punti di ristoro altrettanti atleti normodotati. Inclusione quindi, insieme a sostenibilità ambientale (a cura del WWF di Trieste) e naturalmente, come detto sopra, qualità a livello di partecipazione e di organizzazione, curata da ASD Sentierouno e dal suo presidente Tommaso de Mottoni. A testimoniare tutto questo ed altro ancora è l'amica trail e skyrunner Sarah Natali che ha preso il via delle 57K, alla quale abbiamo chiesto di raccontarci la sua gara e le sue sensazioni. Eccole.
Solitamente racconto le mie gare sui social attraverso le foto che scatto prima, durante e dopo la manifestazione. Un modo per trasmettere agli amici (trailrunners e non) i colori dei luoghi in cui corro. Alcune mie foto su Facebook sono accompagnate da queste parole:
"Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco”.
Eccomi allora al Bora Village di Visogliano, le sei in punto della prima domenica del nuovo anno, pronta per salire sull’autobus che mi porterà a Pesek ed alla linea di partenza della Corsa della Bora.
Sono davvero pronta?
Per niente! Mi sono sentita male al risveglio e sono praticamente a digiuno dal giorno prima. Mi fa male lo stomaco, non riesco a bere o mangiare nulla. Il viaggio verso Pesek su un autobus sovraffollato non aiuta …
Il morale non è alle stelle: questa doveva essere la mia occasione per tornare in pista dopo uno stop di quasi due mesi, la prima "ultra" del 2020 in vista di obiettivi importanti: SciaccheTrail (Cinque Terre), Madeira Island Ultra Trail (MIUT) e Lavaredo Ultra Trail (LUT)). Cerco però di chiamare a raccolta tutti gli elementi a mio vantaggio. Le previsioni meteo sono ottime e so che per qualsiasi necessità o difficoltà posso contare su una buona organizzazione di gara. Inoltre oggi non ho obiettivi di tempo: ho solo bisogno di riprendere confidenza con le lunghe distanze, di mettere un po’ di ore nelle gambe. Sono in griglia e lo speaker sta incitando tutti i concorrenti, dando il cinque a destra e a sinistra ma soprattutto ricordandoci di ripetere a noi stessi, ogni volta che ci troveremo in difficoltà, “io posso”. Lo guardo un po’ sospettosa e alla fine scelgo di partire, consapevole dei miei limiti.
Il mio è un avvio prudente, sto praticamente camminando. Per un paio di ragioni: la partenza da Pesek è in discesa e tutti questi saltelli tra foglie e radici mi procurano il mal di mare. Inoltre so che la parte più tosta della gara arriverà tra il decimo ed il ventesimo chilometro, dove si concentra la maggior parte del dislivello. Se arrivo viva al ristoro di Draga S. Elia forse ho qualche possibilità di proseguire! Nel frattempo sta spuntando il sole, le temperature si stanno alzando e nonostante le “farfalle” allo stomaco ed uno zaino troppo pesante, mi scopro rilassata nella mia corsa lenta.
Anche se non ho mai indagato tra i miei amici trailrunners, mi piace pensare che chiunque affronti percorsi lunghi abbia un proprio mantra. Personalmente ho fatto mie alcune parole di un album di Niccolò Fabi che amo. Ecco allora che concetti come “una somma di passi che arrivano a cento” e “per ogni tipo di viaggio meglio avere un bagaglio leggero” prendono anche oggi senso e forma. So esattamente cosa devo fare: restare rilassata, non irrigidire troppo l’addome, non sprecare energie in pensieri negativi, preoccupazioni inutili e qualsiasi altra azione diversa da un sorriso agli altri concorrenti o da un ringraziamento ai volontari dei ristori.
Quasi non me ne accorgo e nel frattempo il paesaggio del Carso sta cambiando sotto i miei piedi. Sono nella riserva naturale della Val Rosandra: da foglie e radici siamo passati a pietre e ghiaioni. Mi aiuto con i bastoncini e senza troppo sforzo mi trovo su una cresta attrezzata con cordini che mi ricordano le gioie della scorsa estate, quasi interamente dedicata (con poco successo a dire il vero) allo skyrunning. Un volontario ci invita a sostare un attimo per guardare più in là, in fondo: lo vedi il mare? Sì, eccolo! Le gambe oggi sono pesanti, ma la testa è dura e io al mare ci voglio proprio arrivare!
Scendere dalle creste non è esercizio banale: siamo in tanti e l’errore di uno può diventare l’orrore di altri. “Senza fretta” mi ripeto. Ne approfitto per ammirare il paesaggio e la bellezza della cascata della Val Rosandra. Un’occhiata all’orologio: trentesimo chilometro, è fatta! Beh, non esattamente … Sono appena a metà gara ma il mare già si vede e so che da qui in poi è praticamente (letteralmente) tutta discesa. Osservo una sosta un po’ più lunga al ristoro Obelisco. Mi ascolto, mi accorgo di stare meglio. Finalmente riesco a mandare giù qualcosa.
Riparto con calma insieme a quelli che saranno poi i miei compagni per il resto del viaggio … I quindici chilometri che seguono volano via, il percorso è tutto vista mare e, fatta eccezione per qualche pausa foto, procedo a ritmo regolare, tra gli sguardi curiosi delle persone incontrate sul percorso, alle prese … con la passeggiata digestiva domenicale. Ma che ore sono? Il sole è ancora alto. Mi chiedo se riuscirò ad arrivare in fondo senza ricorrere alla frontale. Il fattore luce tra l’altro non è l’unico di cui tenere conto: si tratta di arrivare in tempo alla spiaggia, per completare gli ultimi chilometri … all’asciutto.
Il percorso è sassoso ma fluido e corribile, arrivo al cinquantesimo chilometro verso le quattro del pomeriggio. I numerosi volontari ci indirizzano con prudenza nella discesa verso la costa, lungo la quale correremo un paio di chilometri su una spiaggia appunto “rocciosa”. Meglio non dare nulla per scontato. La situazione si fa … interessante grazie alla marea che sta crescendo: alcuni passaggi sono già coperti dall’acqua. Mi bagno i piedi senza pensarci su, giusto per procurarmi qualche vescica negli ultimi quattro chilometri di percorso …! Poi via di corsa verso Portopiccolo, un lussuoso porto ricavato da un’ex cava di calcare.
Sono nel posto giusto, al momento giusto, per assistere allo spettacolo del tramonto sul mare. L’atmosfera è davvero romantica. Devono aver pensato la stessa cosa i turisti in passeggiata, vedendomi arrivare con scarpe tassellate e bastoncini da trail invece di pochette e tacco dodici … Percorro gli ultimi due chilometri ormai al crepuscolo, ma non è un problema: Sistiana è illuminata dalle luci del paese ed a minuti sarò al Village. Aveva ragione lo speaker, ricordandomi alla partenza che “io posso”. Ed è proprio lui che aspetta sotto il gonfiabile, che mi incita a correre gli ultimi metri, che mi dà il cinque al traguardo.
Una somma di passi, come scrivevo qualche riga sopra. Viaggiamo per non dare mai per scontata la bellezza. Questa è stata la mia Corsa della Bora, un bellissimo viaggio di cinquantasette chilometri tra le bellezze del Carso, dall’alba al tramonto, affrontato con un bagaglio leggero.