10 minuti, zero a due, ditemi dove devo firmare. Questa non è la cronaca dei successivi 80 minuti di Roma-Juventus. Questa non è la morale strategica di una gara da vincere e basta. Questa non neppure è la sede dove stare a misurare quanto la Juve sia diventata bella o quanto sia bella come un tempo. Oppure di quanto i millimetri e le interpretazioni arbitrali nel calcio facciano la differenza o quanto valgano due punti alla fine del girone di andata.
La Juventus dei 48 punti dopo 19 partite è ancora una somma di fattori. Lo è spesso stata in questi anni. Capita anche che la squadra non sia ancora neanche una somma indefinita di sarrismi. Questa Juve ha ancora il fine in testa, anche quando non sembra mettere in mostra i mezzi. Lo è stata nelle campagne Champions che la portarono due volte in finale. Forse Berlino meno di Cardiff, ma proprio la prima versione di Conte e appunto la prima versione di Allegri sono state le due amalgame migliori. Però hai i numeri, hai i nomi, hai soprattutto le caratteristiche e Sarri fa bene a ricordarselo e ricordarcelo. Avere è meglio di cercare, anzi con la pancia piena si cerca meglio.
Ma cosa è stata la Juventus di questi mesi e, soprattutto, cosa potrebbe essere? Alla prima domanda si risponde a soggetto a seconda della parte che si vuole tenere. Tutti hanno ragione, tutti hanno torto. Perfino Sarri tra fatti e parole ha un po’ ragione è un po’ torto. Chi sperava in un gennaio diverso sperava nel Sacro Graal, o in Guardiola, o in un effetto domino sinceramente impronosticabile.
Certo tutto questo resta confinato all’estetica, alla statistica, alle rivendicazioni, ma il calcio (italiano) è un eterno presente. Oggi muovi e disponi del Cagliari come di una marionetta, domani devi saper recitare in un copione improvvisato e capire che per la forma c’è sempre più tempo del previsto. La sostanza sono stati per una volta i nuovi, Demiral che vale la stregua di un titolare e per giunta segna. Auguri Merih, a questo punto non conta quanto ci sarà da aspettare... Perché per esempio De Ligt arriva quando non te lo aspetti e al livello che te lo aspetti, tra l’altro dal lato inedito in bianconero dei due centrali, ma nel quale pare oggettivamente destreggiarsi meglio. Di Ramsey e di Rabiot, anche nel marasma del secondo tempo, che non si assomigliano per niente, ma che completerebbero a determinati livelli un reparto che cerca idee nuove e qualità diverse per tornare ad esaltarsi come nelle grandi squadre c’è sempre un gran bisogno. È lì che s’incrociano le strade delle partite che contano e per le quali hai lavorato (sbagliando, soffrendo, ritoccando) per mesi. È lì che per chi scrive s’ingarbuglia l’ideale di Sarri con la necessità di Sarri.
Insomma, può piacere tanto o piacere poco, ma quando la Juve fa sprazzi di Inter si dice che la Juve sia al 50%. Lo scontro diretto, la Champions nelle partite giuste e le verve giunte e disgiunte di Ronaldo e Dybala hanno fatto parte di una parte del rimanente. Ecco perché la dura vita di chi è costretto a vincere la si deve vivere a un certo punto da aristocratici e non da operai. Se ne hai la possibilità, ne vale la pena. Senza mai dimenticare le radici. Limando qualche gergo e qualche gesto di troppo. Ma di questi, se tutto va come deve, chi se ne ricorderà?