La spedizione dell'alpinista bergamasco Simone Moro e dell'amica, collega e ormai storica compagna di spedizione Tamara Lunger in Karakorum, in Pakistan, è ufficialmente conclusa. Dopo l'incidente avvenuto sul Gasherbrum in cui entrambi hanno seriamente rischiato di perdere la vita, i due alpinisti sono stati prelevati dal campo base e trasportati in elicottero a Skardu per accertamenti. Entrambi, per quanto molto provati, sono in discrete condizioni di salute: il tentativo di concatenamento del Gasherbrum I e II (vette entrambe superiori agli 8mila metri, rispettivamente 8080 metri e 8033 metri) è però stato archiviato.
IL RACCONTO DI SIMONE MORO
Quanto successo è stato raccontato via social dallo stesso Moro. Un racconto profondamente drammatico: "Senza stare a girare troppo attorno al concetto, ieri (sabato, ndr) siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto sia per me che per Tamara" ha raccontato su Facebook. "Eravamo intenzionati a passare due notti sulla montagna, raggiungere Campo 1, dormire lì e il giorno dopo dirigerci verso Campo 2. Eravamo finalmente fuori dalla cascata di ghiaccio, avevamo superato anche l'ultimo grosso crepaccio e procedevamo sul plateau sommitale. Sempre legati perché sapevamo che i crepacci erano sempre in agguato e antenne sempre dritte ma il morale alto e la soddisfazione di aver superato tutto. Il labirinto di ghiaccio grande, ma la giornata non era finita e quello che ci aspettava terribile".
"Approcciando un crepaccio, mi sono messo come sempre in posizione per assicurare Tamara che per prima lo ha attraversato e si è poi portata in zona di sicurezza, 20 metri oltre il crepaccio - ha proseguito l'alpinista bergamasco -. Poi è venuto il mio turno e dopo una frazione di secondo, mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato. Tamara ha subito uno strappo tanto violento che è letteralmente volata fino al bordo del crepaccio e io in caduta libera a testa in giù per 20 metri sbattendo schiena gambe e glutei sulle lame di ghiaccio sospese nel budello senza fine in cui continuavo a scendere. Largo non piu' di 50 cm, tutto buio. Sopra Tamara aveva la corda avvolta intorno alla mano e gliela stringeva come una morsa e le provocava dolori lancinanti e insensibilità. Io ero al buio e lei lentamente scivolava sul ciglio del crepaccio. Il tutto complicato dal fatto che lei aveva le racchette da neve ai piedi. Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio e, pur sentendomi lentamente scendere verso l'abisso ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all'imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara".
"Da li', senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire" ha concluso Moro. Quasi due ore dopo. Contorsionismi e mille sforzi mi hanno permesso al buio e schiacciato tra due pareti larghe 50 centimetri e risalire in piolet traction tutto il crepaccio. Tremolante e con mille contusioni ho abbracciato Tamara che piangeva anche dal dolore alla mano. Mentre salivo era riuscita ad organizzare una bella sosta di recupero e ad assicurarmi mentre scalavo i 20 interminabili metri di ghiaccio liscio. Siamo scesi al campo base, già allertato e rassicurato via radio".