TERREMOTO ROSSONERO

Milanisti, milanismo e altri ammennicoli

Gazidis ed Elliott programmano una nuova rivoluzione, via l'anima dirigenziale rossonera e una sola certezza: i Singer non pensano alla cessione del club

In questi giorni turbolenti, di stracci che volano e dirigenti che rompono gli indugi e si dicono finalmente e definitivamente cosa pensano l'uno dell'altro, dentro il piatto di un Milan abbandonato alla deriva restano le briciole di una notizia che notizia, viste le continue smentite, non dovrebbe essere. Eppure la sensazione che Singer e il suo lider maximo Ivan Gazidis stiano lavorando assiduamente per un nuovo e diverso futuro cala definitivamente il sipario sull'aria di cessione che, da qualche tempo, aleggiava sul Milan. Niente Arnault, per buona pace dei molti milanisti che lo attendevano come un Messia, ma nemmeno nessun altro papabile o possibile acquirente. Elliott, così pare, resta in sella, con l'obiettivo chiaro di completare il suo progetto e arrivare, ma solo a tempo debito e a determinate condizioni, alla vendita del club più prestigioso d'Italia. 

In tanto rumore, tra le righe di siluri sparati a mezzo stampa, resta sempre il dubbio che il male peggiore per il Milan sia in fondo il silenzio assordante della proprietà. Gazidis non parla - o parla pochissimo - e quando lo fa in genere ci becca poco. Basti un esempio su tutti, il giorno in cui l'ad sudafricano si lasciò scappare un maldestro, e nemmeno vero, "Elliott ha salvato il Milan dal fallimento".

Paul Singer, dal canto suo, non ha mai parlato. Ma proprio mai. Per dire: nel caos dei rinvii "da Coronavirus", Marotta, ad dell'Inter, ha chiarito l'imbarazzo e la rabbia dei nerazzurri ovunque. Il Milan, invece, ha preso atto. Che è un modo come un altro per non dire nulla. Chi avrebbe dovuto spiegare la posizione rossonera? Gazidis, forse, oppure Maldini, oppure ancora Boban. Tre uomini per una voce che dovrebbe essere unica ma che unica non è affatto.

Le parole di Boban, va da sè, sono semplicemente l'antipasto delle dimissioni. Anzi, per dirla tutta e alla luce della distanza siderale tra le parti, in realtà avrebbero dovuto essere dimissioni esse stesse. Maldini, che con Zvone lavora a stretto contatto e con unità di intenti, è sulla stessa barca. Via uno, andrà via anche l'altro. Massara, probabilmente, seguirà la truppa. Il che, inutile dirlo, porterà all'azzeramento dell'area tecnica e, come conseguenza, interromperà anche quei rapporti dirigenti-agenti-giocatori che, ad esempio, riguardano il futuro di Ibrahimovic o, magari, di giocatori da riscattare dai prestiti come Rebic. Quanto a Pioli, sul cui buon lavoro non si possono avere riserve e che ha dimostrato, anche in un momento così delicato, grande equilibrio e una serietà quasi unica, i dubbi sono pochissimi: comunque vada, visto che la qualificazione in Champions è praticamente impossibile, è un morto che cammina. Che in fondo a questo assurdo miglio verde già può intravedere chiara l'ombra del suo successore Rangnick

In questo clima il Milan giocherà la semifinale di Coppa Italia contro la Juve mercoledì prossimo (anche qui in condizioni particolari, senza tifosi milanisti ma a porte aperte, ndr) e dovrà provare a strappare almeno un posto in Europa League nelle prossime gare di campionato. Mentre la nave imbarca acqua da ogni voragine, ci si aspetterebbe di sentire il suono forte della voce del padrone. Di qualcuno che dica: questo è il progetto, questo è il futuro, queste sono le persone che vi guideranno, questa è la sola strada per ricostruire un grande Milan. Ma anche questa volta non accadrà. Tra milanisti furiosi, milanismo che si affievolisce e altri maledetti ammennicoli. 

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