Il Coronavirus. La domenica ribaltata, cristallizzata. Pure un po' violentata, come tutto il resto delle nostre giornate, perlomeno nelle lande del Nord Italia. Quel filo di timore in sottofondo, che ci sta. E poi il Milan, il Milan che non gioca e che tuttavia straperde, tipo Bergamo, per quelle parole al vetriolo di Boban. "Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere", recita quella famosa battuta: e infatti piove, pure, e fa freddo, e - insomma - non c'è neanche mezzo motivo per farsi affiorare un sorriso sulle labbra.
La prospettiva dell'immediato rossonero è quella di un piazzamento tra il quinto e l'ottavo posto, un biglietto diretto o con scalo-qualificazioni estive per l'Europa: roba triste in un campionato triste, e ormai palesemente falsato. Quella dell'avvenire, boh. Meglio non pensarci, davvero. Meglio non provare neanche a farsi un'idea, perché poi - alla fine - il tifoso l'idea se la dovrebbe fare dai fatti del campo, da quello che vede con i suoi occhi come prodotto del lavoro della squadra e della società. Guardiamo partite di calcio e tifiamo per dei colori, in questo caso il rosso e il nero. E invece, come cantava l'ultrà interista Enrico Ruggeri, ancora una volta il futuro è un'ipotesi con una sola certezza: che la proprietà - o meglio la non-proprietà, l'escussore del debito, il banco dei pegni Elliott - in estate sarà ancora la stessa e che per l'ennesima volta, sul dissestato libro paga del Diavolo ci saranno nuovi manager, e un nuovo allenatore. Paolo Maldini sta preparando la valigia, Zvonimir Boban è proprio sul ciglio della porta e non è detto di vederlo presente in tribuna quando questa surreale interruzione "on demand" del torneo terminerà. Tre figure (comprendiamo anche Pioli) e corrispondenti stipendi in cambio di una, Ralf Rangnick, un "maestro" della new wave del calcio tedesco che ha saputo autoriprodursi anche come uomo di conti, di strategia tecnica generale, di mercato. Ricorda quella pubblicità degli anni '70, quando il noto attore avvicinava la massaia fiera del fustino aveva comprato e proponeva uno scambio "due in cambio di uno": la sciura rifiutava sdegnata rivendicando la qualità del suo acquisto. Qui invece è Singer a mollare i suoi fustini senza pensarci più: per ridimensionare le uscite e soprattutto per non avere più a che fare con due che hanno provato a deviare la linea di integralismo tecnico ed economico che, dopo il mercato estivo, ha portato il Milan ad andare a sbattere sul campionato in tempo zero. In attesa del compratore, l'unico obiettivo è quello del bilancio, di un investimento da contenere in attesa di potere guadagnare il più possibile dalla inevitabile cessione: e siccome la bolla Arnault è volata via (ma non è scoppiata, garantito) e all'orizzonte non c'è ancora il vestito figo da mettere in vetrina (il nuovo stadio, o almeno l'ufficialità del progetto), il rubinetto si deve chiudere. E ogni investimento in materiale umano - dicansi giocatori - deve essere effettuato con l'unico obiettivo di potere realizzare plusvalenze buone per risanare i conti.
Rangnick è uno che al Lipsia, più o meno, ha fatto questo. Prima da allenatore "puro", poi da responsabile di tutto il dipartimento Red Bull, comprendente dunque anche il Salisburgo. In quelle due città - totalmente vergini a livello di prestigio, aspettative, ambiente - è andata bene: certo sull'etichetta che è stata cucita addosso al futuro "pastore tedesco" c'è la parola Maestro. Il Maestro di Klopp, il Maestro di Nagelsmann, l'uomo che ha ispirato una nuova via alla Bundesliga: la parola Maestro ricorda - oltre che Oscar Washington Tabarez, grande lontano da Milanello - anche il penultimo allenatore rossonero, la cui scelta - apparentemente - è stato a quanto pare uno dei principali capi d'accusa della proprietà rivolti alla coppia Boban-Maldini. Scottati da tanti, troppi ribaltoni, troppe figure di passaggio, ormai convinti e/o rassegnati alla mancanza di una società organizzata, identificabile, forte e focusizzata sugli interessi del Milan - e di noi tifosi -, possiamo avere il ragionevole dubbio che anche questa rivoluzione non porti fuori dall'infinito tunnel? Dubbio, si badi. Una parte di cervello e di cuore che indirizzi all'ottimismo bisogna pure averla. La speranza del meglio e della gioia è l'essenza della passione calcistica. Senza, è inutile. Ma chissà che il Milan, società che per tanti eventi di campo e di scrivania, è stata precursore ed esempio, stia tentando di abbattere anche questo muro apparentemente invalicabile: deprimere fino allo sfinimento i suoi milioni di innamorati. Impresa apparentemente impossibile, ma la sensazione è che da otto anni a questa parte ci si stia provando con grande continuità.