Viene sempre da immaginarselo lì, in panchina, suo habitat naturale, a guidare su un prato verde undici Davide contro un Golia. Tuttavia, anche per uno come Carlo Mazzone, il tempo passa: “Sor Carletto” compie 83 anni, da festeggiare a casa in compagnia della famiglia. E dei tantissimi appassionati che gli sono legati.
Mazzone è stato infatti un girovago, per quanto non si sia mai allontanato dall'Italia: in 38 anni di carriera, dal 1968 al 2006, ha guidato 12 squadre diverse. Tranne il Pescara (dove è rimasto solo per pochi mesi nel 1990), tutte allenate o portate in Serie A, il suo pane quotidiano. Nel massimo campionato, infatti, Mazzone ha totalizzato 795 panchine. Più di leggende del calcio italiano come Nereo Rocco, Giovanni Trapattoni, Nils Liedholm, “Gipo” Viani e Fulvio Bernardini. Mazzone avrà una bacheca molto meno ricca di questi ultimi, ma una carriera comunque piena di soddisfazioni personali, impreziosita dal recente ingresso nella “Hall of Fame” del calcio italiano.
Il viaggio di “Sor Carletto” è un vero e proprio Giro d'Italia: si parte nel 1968 da Ascoli (dove tornerà 13 anni dopo), si prosegue con Fiorentina, Catanzaro, Bologna (1985/86, siederà sulla panchina rossoblu altre due volte), Lecce, Pescara, Cagliari (in due momenti diversi), Roma, Napoli, Perugia, Brescia e Livorno.
L'esperienza in Campania è stata la più fugace: sei presenze ufficiali con solo una vittoria. Ma era il Napoli del 1997/98, una delle squadre più disastrose degli ultimi tre decenni di A, e fare di meglio era un'operazione quasi impossibile anche per un mister che, agli inizi della carriera, ha portato l'Ascoli sulla mappa del calcio italiano insieme al “Presidentissimo” Costantino Rozzi. Da giocatore, con i bianconeri, si ruppe la tibia. Nella sfortuna, fu fortunato, perché Rozzi gli disse: “Finché ci sarò io, tu starai vicino a me”. Anche per riconoscenza, Mazzone iniziò la storia da allenatore con i marchigiani il 24 novembre 1968 come sostituto di Evaristo Malavasi, e poi - definitivamente - nel 1969. Fu il primo capolavoro: proprio con Mazzone alla guida, i bianconeri risalirono dalla Serie C e raggiunsero per la prima volta la Serie A nel 1974.
Salutata una prima volta Ascoli, rispose alla chiamata della Fiorentina di Giancarlo Antognoni, con la quale vinse uno dei suoi due trofei internazionali (la Coppa di Lega Italo-Inglese del 1975 ai danni del West Ham) e raggiunse il terzo posto nello storico campionato 1976/77, segnato dal duello ad altissima quota tra Juventus e Torino.
Seppur Mazzone si sia adattato e aggiornato più di quanto certa retorica voglia far credere (altrimenti non si resiste in sella al calcio italiano per quasi 40 anni tra variazioni regolamentari, tattiche e tecniche), il vestito che più gli calza è quello della squadra di provincia. In un eterno richiamo della foresta, dopo la fine dell'avventura fiorentina, Mazzone accettò la chiamata del Catanzaro (1978) e portò i calabresi in semifinale di Coppa Italia, dove si arresero solo alla Juventus. In quella squadra giocava anche Claudio Ranieri, che da Mazzone prese molto del modo di allenare. Nel 1981 non resistette a Rozzi e tornò a infiammare il pubblico di Ascoli, portando i marchigiani al sesto posto in A e guidandoli a quattro salvezze consecutive.
Dopo le esperienze con Bologna, Lecce (dove lanciò definitivamente un giovanissimo Antonio Conte) e Pescara, Mazzone si avviò all'apice della carriera: gli anni Novanta. Li cominciò con il Cagliari (dal 1991 al 1993) e con i sardi conquistò una storica qualificazione alla Coppa Uefa (cavalcata poi proseguita l'anno successivo da Bruno Giorgi fino in semifinale). Poi, la chiamata della Roma: va bene l'attrazione per le piccole piazze, ma alla squadra del cuore non si può dire di no. Tre buone stagioni ma anche una cocente eliminazione in Coppa Uefa 1995/96 contro lo Slavia Praga di Karel Poborsky: i cechi trovarono il gol della qualificazione alla semifinale al 112', dopo che la Roma aveva rimontato in casa il 2-0 dell'andata.
Lasciati i giallorossi, Mazzone tornò a Cagliari, dove subì un'altra delusione amara: lo spareggio-salvezza perso contro il Piacenza nel 1997. Poi Napoli e, nel 1998/99, un altro ritorno, stavolta a Bologna, dove vinse la Coppa Intertoto (1998) e, per colpa di un rigore di Laurent Blanc, perse una semifinale di Coppa Uefa a due minuti dalla fine contro il Marsiglia.
Nel 1999/00 allenò il Perugia di Luciano Gaucci: c'era Carletto sulla panchina di quel famoso Perugia-Juventus arbitrato da Pierluigi Collina. Sotto il diluvio, gli umbri sconfissero 1-0 i bianconeri, che persero così lo scudetto: “Ci voleva un romanista per far vincere il campionato alla Lazio”, dissero i più maligni.
L'esperienza al Perugia si concluse dopo un solo anno: Mazzone passò al Brescia e convinse Roberto Baggio a fare lo stesso. Lanciando un giovane Andrea Pirlo davanti alla difesa, guadagnandosi la stima del Divin Codino e l'amore della tifoseria anche per la sua celebre corsa sotto alla curva dell'Atalanta in occasione del derby del 30 settembre 2001, “Sor Carletto” guidò il Brescia a tre salvezze tranquille prima di chiudere la carriera a Bologna (dove perse uno spareggio-salvezza con il Parma) e Livorno, nel 2005/06.