In giorni in cui la famiglia Schumacher vive con apprensione la diffusione del coronavirus per le condizioni di salute e le basse difese immunitarie di Michael, ricorre un anniversario decisamente particolare: il 31 marzo 2001, per la prima volta, il Kaiser e il fratello partirono insieme dalla prima fila di un Gran Premio. Ma quel sabato di Interlagos non mantenne le promesse di una difficile rincorsa intrapresa da Ralf nel corso degli anni.
Spesso lo sport è un affare di famiglia. E i motori non fanno eccezione, anzi rappresentano una disciplina in cui dare vita a dinastie è più facile che altrove. Basti pensare a Nino Farina, primo vincitore di un Mondiale di Formula 1 nel 1950 (suo padre Giovanni fondò gli Stabilimenti Farina, che nel mondo dell'automobile italiana rappresentano una delle fabbriche leggendarie dei tempi pionieristici, restando attivi dal 1906 al 1953). Basti pensare anche ad Alberto Ascari, primo bi-campione della storia (vinse i titoli del 1952 e 1953) e che a sua volta era figlio di un eroe delle gare anni '20 come Antonio. Con il passare dei decenni però il compito dei "figli d'arte" si è fatto via via sempre più complicato. Persino per i campioni del mondo: di Damon Hill si è sempre parlato della classe e del talento maggiori di papà Graham (da cui il figlio riprese pedissequamente la fantasia del casco) e di vittorie ottenute grazie a una Williams dominante, Jacques Villeneuve pure iridato è sempre stato visto sotto l'ombra della leggenda di papà Gilles, Nico Rosberg ha sempre ribadito come la sua amicizia divenuta odio sportivo con Hamilton sia stata l'unico argomento che gli ha permesso di mettersi alle spalle le domande su papà Keke.
Ma se per i figli il compito è stato spesso arduo, ancora peggio è andata ai fratelli in Formula 1. Specie se il più famoso della famiglia era un autentico campione. Per informazioni chiedere a Ralf Schumacher, presentatosi nel Circus nel 1997 quando Michael già era il Kaiser, un due volte campione del mondo e colui che in due anni aveva permesso alla Ferrari di tornare a competere per il titolo mondiale. Il buon Ralf, la cui storia era tutto sommato simile a quella di Michael per come era iniziata (entrambi furono messi su un kart da papà Rolf a meno di 4 anni), nel Circus fu accolto nel migliore dei casi dalle sopracciglia aggrottate di chi si fermò al suo cognome e la sua parentela. Eppure il ragazzo già a 19 anni aveva vinto la sua prima gara nel campionato tedesco di Formula 3 ed era reduce dalla vittoria del campionato di Formula Nippon.
Non un ragazzo "fermo", insomma. Eppure la patina del raccomandato era dura da raschiare dalla sua tuta, specie visto che si trattava di quella della Jordan. La stessa Jordan che fece le fortune sue e della Formula 1 puntando nel 1991, e per un GP soltanto, su un giovane tedesco: Michael Schumacher appunto, subito ghermito da Flavio Briatore che già nella gara successiva lo spostò sulla sua Benetton.
Ralf, gelido come chi possiede i geni Schumacher sa essere, andò dritto per la sua strada e non fu scalfito nemmeno da un impatto con la Formula 1 da far tremare i polsi: ritirato all'esordio di Melbourne, ritirato nella seconda gara a Interlagos, terzo a Buenos Aires ma dopo aver buttato fuori pista il compagno Fisichella con cui stava lottando per il podio. La fama di "raccomandato" lasciò immediatamente spazio a quella di "piccola testa calda". Tanto più che, dopo il ritiro di Montecarlo causato da un suo errore al Casinò, al Nürburgring (e quindi proprio in Germania) una nuova azione spericolata al via costrinse al ritiro tanto lui quanto il fratellone della Rossa, oltre al solito Fisichella. Apriti cielo. Anche perché quei punti sarebbero pesati moltissimo nella corsa iridata del Kaiser, terminata nella sabbia di Jerez dopo una difesa goffa e disperata su Villeneuve entrata nella storia.
Un primo anno insomma nemmeno da buttare via risultati alla mano (sei piazzamenti a punti, addirittura un podio), ma gerarchie familiari assolutamente confermate nell'immaginario di tutti: il fuoriclasse era uno, l'altro solamente il fratellino che prova a dire la sua. Un dato confermato da un'usanza di quegli anni: Michael veniva ancora definito dalla maggior parte degli addetti ai lavori semplicemente "Schumacher", il fratello invece era "Ralf": quasi come se quel cognome fosse un pesante orpello da evitare di sfoderare quanto possibile. Ma la tempra di famiglia non è solo un modo di dire. "Schumino" iniziò anche il 1998 come peggio non si potrebbe (appena un giro completato nei primi due Gran Premi messi insieme). Dopo ben otto appuntamenti iridati fuori dai punti, però, prese corpo la lenta rimonta nella considerazione collettiva: il culmine a fine estate, con il secondo posto di Spa dietro il compagno Hill per ordini di scuderia e il terzo di Monza, gara vinta da Michael con tanto di carezza fraterna sul podio.
Finalmente Ralf sembrava pronto a sbocciare, e nel 1999 tenne anche alto da solo il nome di famiglia nelle sei gare in cui Michael dovette fermarsi per la frattura della gamba destra (solo la sfortuna negò un successo già confezionato in quel dell'amico-nemico circuito del Nürburgring). Intanto era già arrivato il passaggio alla Williams, storica scuderia in lenta ma costante ripresa: sesto in classifica al termine di quel 1999 e quinto nel 2000, finalmente Ralf si trovò nel 2001 al volante di una monoposto in grado di vincere, la FW23. Lo dimostrò il 31 marzo, in Brasile: Michael Schumacher in pole position con la Ferrari, Ralf secondo con la Williams a soli tre decimi di distacco. Due fratelli a spartirsi la prima fila: non era mai successo. E poco importa il ritiro con cui si concluse quella gara, perché Ralf aveva dimostrato di aver sempre avuto ragione quando aveva accettato quella vecchia offerta della Jordan: Michael è il Kaiser, ma io con lui ci posso battagliare. Lo avrebbe dimostrato ancora, per esempio a Montreal in quello stesso 2001: altra prima fila tutta in famiglia, e per la prima volta vittoria di un fratello con l'altro secondo sul traguardo. Ma con Michael battuto da Ralf.
Il sogno si sarebbe esaurito nel giro di pochi anni: per due gare, nel 2002, in testa al campionato ci furono i due fratelli (con Ralf sempre all'inseguimento, prima di cedere il passo a Montoya e poi Barrichello), nel 2003 l'effimero sogno di rimontare su Michael dopo la doppietta Nürburgring-Magny Cours. Quindi il declino, veloce e inesorabile: il botto di Indianapolis nel 2004 con la rinuncia a sei gare (come il fratello nel 1999), l'incredibile bis l'anno dopo sullo stesso circuito e nella medesima curva, al volante dell'evanescente Toyota. E quelle parole, che oggi fanno male all'anima pensando a cosa avrebbe riservato il destino al fratello: "So che se dovessi fare un altro incidente simile mi dovrò fermare".
Nel frattempo arrivarono altri tre podi, gli ultimi, mentre Michael in Ferrari lottava per il mondiale contro Fernando Alonso e la sua Renault, arrendendosi solo all'ultima gara del 2006. La sua ultima, fino al ritorno del 2010 targato Mercedes. Nel frattempo un Ralf precocemente passato nel Circus da promessa a bollito di lusso, aveva già stancamente corso la stagione 2007. Quella in cui finalmente non era più "Ralf" ma a pieno titolo "Schumacher". Una stagione conclusa con la miseria di 5 punti, il mancato approdo alla McLaren e addirittura alla Force India, quindi l'addio. Un anno solamente dopo il fratello (più vecchio però di sei anni). Un fratello che lo aveva forse illuso, in quel lontano 31 marzo 2001, di potergli un giorno cedere lo scettro.