C’è solo un modo secondo me per ricordare una persona cara. Appunto… ricordare. E allora mi ricordo, agli inizi degli anni ’90, che non trascorreva un venerdì sera che a casa del nostro collega e mio caro amico Claudio Arrigoni non ci si trovasse per vedere una trasmissione che andava in onda sull’emittente milanese Telenova. Assieme a me e a Claudio c’era Franco Casalini, ex allenatore di basket campione d’Europa con l’Olimpia Milano: un terzetto puntuale ogni settimana fissi davanti alla tv a guardare “Casa Mosca”.
In quel programma c’era l’essenza del Maurizio che noi tutti abbiamo conosciuto, chi lavorandoci a stretto contatto, come è successo a me, chi guardandolo in televisione alle prese con sportivi, ballerine, cantanti, comici, conduttori tv e tutto ciò che la scatola magica della televisione poteva offrire.
Maurizio ci ha lasciato dieci anni fa, era il mio compagno di viaggio in “Guida al Campionato”, programma che lo vedeva emergere da un pentolone fumante a sparare le sue bombe di mercato oppure gingillarsi con un pendolino magico che osava prevedere i risultati. Perché, a suo avviso: “la gente per questa roba qui… diventa matta!”
Gesti, modi di dire, comportamenti, frasi passate alla storia della televisione non solo sportiva, perché Maurizio aveva inventato un modo tutto suo di fare giornalismo. Senza far inorridire i puristi della professione, il suo travestirsi da giullare era solo una maschera dietro la quale c’era un giornalista vero, capace di trovare la notizia e di comunicarla poi in quel suo modo unico.
Se ne andò di sabato, la mattina dopo avrebbe dovuto essere nello studio di Cologno con me, Arrigo Sacchi e gli altri ospiti, a parlare di calcio. Ma da qualche settimana era a casa ormai, a riposarsi, dicevamo noi in trasmissione, consci di un male che non lo avrebbe più mollato. Se ne andò di sabato e mi piace immaginare che quasi lo fece apposta, affinché la notizia della sua scomparsa facesse più clamore, perché il far clamore era diventato il suo marchio di fabbrica.
Negli ultimi dieci anni, giuro, non c’è stato un solo giorno che in redazione qualcuno non abbia tirato fuori un suo aneddoto, non abbia ricordato una sua uscita, un suo verso, un suo schiamazzo. E’ incredibile come ogni giorno, da dieci anni, continuiamo a raccontarci tra di noi sempre le stesse sue storie e scoppiare a ridere ogni volta, come se le sentissimo sempre per la prima volta. C’è qualcosa quasi di soprannaturale nel ricordare Maurizio, certo sono tutti più buoni una volta che lasciano questa terra, eppure raramente nella mia vita ho conosciuto una persona con una bontà d’animo più grande della sua. Nei miei confronti ma anche nei confronti di chi lo sbeffeggiava, nei confronti dell’adorata madre ma anche nei confronti di chi ha voluto fargli professionalmente del male. Mi vedeva teso o triste e mi consolava, mi incrociava allegro e cavalcava il mio stato d’animo, sapere di venire in redazione a lavorare con lui mi dava ancor più gioia nel fare un mestiere già consapevole di aver avuto la fortuna di poterlo fare nella mia vita.
Maurizio non era triste nemmeno in quei giorni in cui la salute lo stava abbandonando, estate o inverno, dal lunedì alla domenica, Natale o Pasqua, lui trovavi sempre lì, in redazione, assieme a noi che eravamo i suoi amici. E si faceva prendere in giro, ben consapevole che quello era il nostro modo di mostrargli il nostro affetto. Che è ancora, lì, dieci anni dopo, intatto, inscalfibile, inossidabile.
Credimi Maurizio, ti voglio sempre bene, come il primo giorno in cui hai voluto onorarmi della tua amicizia.