Il 24 aprile 1978, 42 anni fa, i tifosi del Milan leggono sul giornale del 7 in pagella meritato a Verona da un diciassettenne fatto esordire il giorno prima da Liedholm. Si chiama Franco Baresi e ha il numero 6, che dal 28 ottobre 1997 diventerà per sempre suo. Per le 716 partite ufficiali, gli scudetti e le coppe. Ma soprattutto per aver condotto il Milan dalla stella di Rivera ai trionfi degli Invincibili fino a Weah e Baggio. Sempre a testa alta.
La maglia presenta i soliti colori rossoneri, ma le strisce verticali sono tante e strette. Come tipico negli anni settanta. Davanti non ci sono scritte o stemmi, nemmeno uno: non il logo della squadra, non quello del fornitore tecnico, men che meno lo sponsor. E non c'è nemmeno la stella: quella arriverà un anno dopo. C'è però uno dei simboli che lo accompagnerà per tutta la carriera, e poi per sempre: il numero 6.
Così lo stadio Bentegodi di Verona accompagna la prima partita in Serie A di un ragazzo diciassettenne che proviene dalla bassa bresciana. Gioca per il Milan, ha un volto apparentemente timido e uno sguardo profondamente fiero. L'indomani è il 24 aprile 1978, una mattina di 42 anni fa esatti: chi compra i giornali legge il suo nome e scopre che in quel 2-1 ottenuto in trasferta dalla squadra di Liedholm a prendere lo stesso voto in pagella di Gianni Rivera (7) c'è anche l'esordiente, il ragazzino. Meglio ancora, il "Piscinin", come lo ribattezza immediatamente Brera. Un nomignolo che si porterà appresso per sempre, salvo accompagnarlo più avanti a un "Kaiser Franz" che gli rende più giustizia dal punto di vista tecnico, tattico e carismatico.
Quella mattina è la prima in cui i tifosi rossoneri leggono di Franco Baresi, un nome che ne accompagnerà le gesta per i successivi diciannove anni. E che diventerà il simbolo di una squadra passata alla leggenda: sì gli scudetti, le Coppe Campioni, gli olandesi, Sacchi e Capello, gli Invincibili, il 5-0 al Real Madrid e il 4-0 al Barcellona. Ma nella figura di Baresi c'è di più. E le sue 716 partite ufficiali con la maglia rossonera incarnano non solo una delle più importanti fette di storia del Milan. Ma proprio il Milan. Se oggi atterrasse sulla terra un alieno, e dovesse chiederci di spiegargli cosa significa "Milan", probabilmente partiremmo da Franco Baresi.
Il "Piscinin" è in campo nel 1979, quando il Milan torna a vincere lo scudetto per la prima volta dal 1968 e finalmente si cuce la stella sul cuore. Quando lascerà nel 1997 il Milan sarà già a quota 15, e sarà una squadra completamente diversa rispetto a quella che salutò i difficili anni '70 con un trionfo. Baresi entra in un Milan capitanato da Rivera, Golden Boy che vede ormai la sua eterna frangetta appoggiarsi sulle prime rughe. E poi monumenti come Ricky Albertosi, Fabio Capello, Alberto Bigon, Dustin Antonelli, Sabadini, Turone, Maldera e Collovati. Baresi è l'anello di congiunzione tra questa generazione e quella dei Maldini, Tassotti, Costacurta e Donadoni, che poi prenderà per mano e condurrà fino a Weah e Baggio passando per Gullit, Van Basten e Rijkaard.
"Prenderà per mano" non è solo un giro di parole. Se c'è qualcosa che contraddistingue quel ragazzo tanto timido e quasi impenetrabile fuori dal rettangolo di gioco, quanto carismatico con i suoi colleghi, è una dote innata. Una sorta di fluido che lo pervade, quando ancora è minorenne: è un leader nato. Già in quella partita di Verona conduce il pallone a testa alta e sa rivestire i panni del punto di riferimento per i suoi decisamente più esperti compagni. A questo ci accompagna un cuore inesauribile, che lo fa arrivare primo su ogni avversario e su ogni pallone, non rinunciando mai a un'altra caratteristica che diventerà proverbiale e un marchio di famiglia (esteso anche al fratello nerazzurro Beppe): la lealtà in campo.
Nel frattempo gli anni passano e la storia non aspetta, costringendo Baresi a maturare precocemente. Se il 1979 aveva regalato scudetto e stella, il 1980 è l'anno del Totonero: il presidente Felice Colombo viene inibito e il Milan si ritrova per la prima volta nella sua quasi centenaria storia in Serie B. Durerà poco, ma se possibile andrà ancora peggio nel 1982: nel corso dell'estate che laureerà l'Italia di Enzo Bearzot campione del mondo, il neopromosso Milan deve fare i conti con una nuova retrocessione. Stavolta maturata sul campo. Come una qualsiasi neopromossa. Presidente è Giussi Farina, colui che venderà a Silvio Berlusconi nel 1986, e nell'ultimo giro di giostra in cadetteria della sua storia (il Milan parte a San Siro il 12 settembre 1982 contro la Sambenedettese), il capitano della squadra è Franco Baresi. Una squadra che ha appena iniziato la sua risalita, che ruoterà tutta intorno a un libero che rappresenta il fulcro centrale, il perno, la sicurezza che davanti ci si può divertire. Tanto dietro c'è Kaiser Franz.
E tra cinque scudetti, tre Coppe dei Campioni, quattro Supercoppe italiane, tre Supercoppe europee e due Intercontinentali, tutti se ne accorgeranno.