Si contano sulle dita di una mano le leggende dello sport mondiale capaci sia di primeggiare a livello agonistico sia di avere un forte impatto sulla società. Gino Bartali è stato uno di quelli, senza ombra di dubbio. Le grandi vittorie lo hanno reso un campione, la rivalità con Fausto Coppi lo ha fatto diventare un mito, e a vent’anni esatti dalla sua scomparsa, avvenuta il 5 maggio del 2000, il ricordo di ‘Ginettaccio’, com’era soprannominato, è ancora vivo nel cuore di tutti gli appassionati di sport. Fare solo un resoconto delle sue vittorie, però, sarebbe un grave torto nei confronti di Bartali: prima di essere un grande ciclista, è stato soprattutto una grande persona.
Nato il 18 luglio 1914 a Ponte a Ema, frazione tra Firenze e Bagno a Ripoli che ospita oggi il Museo del ciclismo a lui dedicato, Bartali diventa professionista nel 1934 e ci mette pochi anni a dimostrarsi degno erede dei campioni degli anni precedenti, gente del calibro di Costante Girardengo, Alfredo Binda, Learco Guerra. Si afferma quasi subito ad altissimi livelli: vince i Giri d’Italia del 1936 e del 1937, il Tour de France del 1938, la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia nel 1939. Nel 1940, prima che l'Italia entri in guerra, Bartali fa in tempo a vincere la Milano-Sanremo ed è il favorito per la vittoria al Giro d’Italia, ma una caduta in una tappa in Liguria lo costringe a fare da gregario a un giovane compagno di squadra alla Legnano, un ragazzo piemontese di cinque anni più giovane: Fausto Coppi.
La rivalità più grande del ciclismo mondiale, però, è ancora lontana dal suo inizio: in mezzo c’è un conflitto mondiale che fa passare lo sport decisamente in secondo piano. Bartali, però, ha modo di dimostrare in questi anni tutto il suo cuore e il suo coraggio: nel periodo da settembre 1943 a giugno 1944, mentre era costretto a lavorare come riparatore di ruote di biciclette, si adoperò in favore dei rifugiati ebrei come membro di una rete clandestina di salvataggio. Partendo con la sua bici dalla stazione toscana di Terontola-Cortona per arrivare ad Assisi, Bartali trasportava, nascosti nei tubi del telaio della bicicletta, documenti da affidare a una stamperia segreta perché questa potesse darli a ebrei rifugiati, consentendo loro la fuga. "Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca" diceva Bartali, che però la medaglia (postuma) la ottenne davvero, al merito civile, nel 2006. Nel 2013, inoltre, fu dichiarato ‘Giusto tra le nazioni’ dallo Yad Vashem, il memoriale delle vittime dell’Olocausto. La storia di questi anni è stata raccontata dal figlio di Bartali, Andrea, nel libro 'Gino Bartali, mio papà'.
Chiusasi la terribile esperienza della Seconda Guerra Mondiale, un’Italia ferita fa affidamento sui campioni dello sport per ritrovare l’orgoglio nazionale, ed è in questo contesto che si sviluppa la rivalità immortale fra Bartali e Coppi. Nel Giro 1946, il primo chiuse la corsa con addosso la maglia rosa, ma il secondo (nel frattempo passato alla squadra Bianchi) arrivò ad appena 47 secondi di distacco, prendendosi inoltre la soddisfazione di avergli inflitto 5 minuti sul Falzarego. Il passaggio di consegne avvenne l’anno successivo, quando Coppi portò a casa la sua seconda corsa rosa in carriera. Bartali, però, si preparava a quello che sarebbe stato il più grande successo della sua carriera, il Tour del 1948, e anche in questo caso la leggenda sportiva s’intreccia al contesto storico. Il 14 luglio di quell’anno, infatti, mentre Bartali e la squadra italiana percorrevano le strade francesi (senza Coppi, non convocato), l’Italia ripiombava in una situazione di tensione per l’attentato che mise a rischio l’incolumità di Palmiro Togliatti, leader del Pci. Più di uno sostiene che le vittorie di Bartali al Tour nei quattro giorni successivi e la conquista della maglia gialla (che porterà fino a Parigi) non solo allenteranno la tensione nel Paese ma impediranno lo scoppio di una guerra civile.
Giunto nella fase finale della sua carriera, Bartali continua a prendersi ancora qualche soddisfazione, come la Milano-Sanremo del 1950. Nel frattempo anche la rivalità con Coppi diminuisce d'intensità. L’immagine simbolo in questo senso è l’epico ‘passaggio della borraccia’, una foto scattata durante il Tour del 1952 da Carlo Martini nella tappa dell’Alpe d’Huez. Sebbene sia uno scatto ancor oggi avvolto dal mistero, oggetto quasi di revisionismo storico, è preso da allora come esempio di come due rivali possano comunque aiutarsi l’un l’altro in caso di necessità, perché la generosità prescinde da ogni tipo di contrasto, nello sport come nella vita. Chiusa la carriera agonistica, Bartali prova l'avventura come direttore sportivo, ingaggiando Coppi nel 1959, in vista della stagione successiva: la nuova alleanza non si concretizzerà mai, purtroppo, per la prematura scomparsa del 'Campionissimo'. Da lì in poi, Bartali decide via via di defilarsi (pur rimanendo affezionato al ciclismo), preferendo dare priorità alla sua famiglia. Non disdegna, comunque, apparizioni pubbliche, sia come ospite delle grandi corse ciclistiche sia in veste più particolare: memorabile, ad esempio, la conduzione di Striscia la Notizia nel gennaio 1992. “Non ho paura della televisione. Io sono così, niente trucchi” dirà in merito lo stesso ‘Ginettaccio’, che di certo non ha mai avuto paura delle sfide.
Al suo funerale la chiesa di San Pietro in Palco, a Firenze, era gremita. C’eranoi suoi storici gregari Loretto Petrucci e Giovannino Corrieri, il ‘terzo uomo’ della rivalità Coppi-Bartali, Fiorenzo Magni, lo stesso cugino di Coppi, Piero, numerose personalità legate al mondo dello sport e non solo. Difficile trovare le parole giuste per salutarlo per sempre, ma qualcuno ci riuscì: i tifosi della ‘sua’ Fiorentina lo ricordarono commossi con uno striscione esposto a San Siro, in occasione della partita contro l’Inter, che ancor oggi fa stringere il cuore e si riferisce alla famosa foto del 1952: "Ciao Ginettaccio, ora fatti rendere la borraccia".