Due volte consecutive settima in classifica, con un progetto tecnico rivoluzionato, una nuova società e uno stadio di proprietà: la Juventus del 2011 sembra un cantiere aperto. Con Andrea Agnelli alla presidenza, Marotta e Paratici che si occupano del mercato e Antonio Conte in panchina però cambierà tutto. E l'ex capitano, dopo anni di rapporti difficili con i colori bianconeri, guida una squadra che il 6 maggio 2012 torna a vincere lo scudetto.
Nell'estate del 2011 la Juventus somiglia pericolosamente a un'antica sovrana che ha perso il suo smalto e che conserva il suo blasone per meriti acquisiti, che il suo presente non è più in grado di onorare. L'effetto del più che positivo, ma non vincente, ritorno in serie A del 2007 dopo i fatti di Calciopoli si è ormai esaurito. La vecchia guardia sembra avere ormai il fiatone, e i giovani leoni su cui si puntava per il ritorno ai piani altissimi del calcio italiano hanno tradito le aspettative. Ci sono stati il terzo posto in campionato da neopromossa, poi il secondo del 2009 ottenuto allo sprint ai danni del Milan. I tentativi di compiere il definitivo salto di qualità, prima con un cuore bianconero come Ciro Ferrara e poi con le vecchie volpi Zaccheroni e Delneri, falliscono: la grande Juventus si ritrova per due stagioni di fila settima, superata da tutte le big del periodo (che comprendono un anno il Palermo e un altro l'Udinese).
Nel frattempo in serie B sta volando un vecchio amico della Juventus, con cui i rapporti da qualche anno si sono deteriorati: è Antonio Conte, che sta guidando il Siena alla promozione dopo un solo anno dei toscani in cadetteria. C'era anche lui in campo nel 2003, stagione dell'ultimo scudetto juventino: nel frattempo è diventato allenatore e la sua prima e più cocente delusione ha avuto indirettamente la firma della squadra di cui è stato capitano. Nel 2007 aveva infatti guidato un Arezzo che proprio come la Juve aveva inseguito i propri sogni partendo da una pesante penalizzazione: la salvezza era però sfumata al 90' dell'ultima giornata di serie B, quando lo Spezia aveva vinto a Torino sul campo dei vincitori del campionato imbottiti di giovanissimi e riserve. E Conte a fine partita non le aveva mandate a dire contro quegli stessi colori che aveva a lungo onorato e amato.
Nel frattempo però la Juve deve ripartire, e anche Conte dopo le ottime cose fatte a Bari e Siena non vede l'ora di ripartire. Le strade si ricongiungono, e c'è anche una nuova presidenza incarnata da Andrea Agnelli. Rimangono invece Marotta e Paratici, eredità della fallimentare esperienza Delneri. I quattro lavorano di cesello, e si presentano al nuovo campionato con nuove certezze.
La difesa, da punto debole del recente passato (i gol subiti nella sola serie A erano stati addirittura 56 a fine 2010), diventa impenetrabile grazie a una serie di intuizioni: Chiellini da terzino sinistro viene convertito a centrale, Bonucci diventa marcatore-regista e Barzagli viene rilanciato in grande stile. Sono in tre, con il terzino destro che diventa una sorta di ala a tutto campo e che sarà per anni Lichtsteiner. Intanto dalla Germania arrivano gli inesauribili polmoni di Vidal e dal Milan il fosforo di Pirlo. Il resto lo fa Conte, che traveste da bomber implacabili e intercambiabili un gruppo di ottimi attaccanti privo però di un vero fuoriclasse: Vucinic, Matri, Pepe, Quagliarella, Borriello. Tutti giocheranno, tutti segneranno, con il grande Alex Del Piero a fungere da faro e uomo delle grandi occasioni per ognuno di loro.
La partenza è estremamente positiva: uno 0-0 sul campo di un'Udinese che a lungo sarà addirittura la più lanciata concorrente per lo scudetto, poi la storica prima volta allo Stadium. Contro il Parma segnano, guarda caso, tre degli uomini simbolo della prima Juve di Conte: Lichtsteiner, Pepe e Vidal appunto, Poi chiude Marchisio. Le milanesi, dopo anni di fasti, inizialmente stentano. Poi il Milan cresce prepotentemente, guidato dal solito Ibrahimovic e dal suo nuovo alfiere prediletto Nocerino. La Juve muscolare e determinatissima di Conte invece sembra rallentare, a causa soprattutto di una lunga serie di pareggi contro avversarie medie e piccole. Le vittorie su Napoli e Roma e un contestatissimo scontro diretto permettono però di riprendere e poi conservare il vantaggio, fino alla festa finale: è il 6 maggio 2012, a Trieste si gioca Cagliari-Juventus, il 2-0 significa scudetto.
Per la prima volta la Juventus è campione d'Italia a nove anni di distanza dall'ultima volta. E da allora, a tutt'oggi, lo è sempre rimasta.