Sono passati vent’anni da una delle giornate più incredibili della storia del campionato italiano di Serie A: il 14 maggio 2000 la Lazio riuscì a completare una clamorosa rimonta nei confronti della Juventus e portò a casa il suo secondo scudetto, a 26 anni di distanza dallo storico primo tricolore firmato dagli uomini allenati da Tommaso Maestrelli. Quell’ultima giornata di campionato, però, è ricordata ancora adesso più per quanto accaduto nella partita che coinvolgeva la Juventus, impegnata a Perugia, che in quella giocata dalla stessa Lazio in casa contro la Reggina. E la partita giocata allo stadio intitolato a Renato Curi diede un nuovo significato alla parola 'affondare', andando al di là del senso sportivo.
È l’ultima giornata del campionato 1999/2000: in corsa per il titolo, dopo una lunga battaglia, ci sono due squadre: la Juventus allenata da Carlo Ancelotti e la Lazio del presidente Sergio Cragnotti allenata da Sven Goran Eriksson. I bianconeri, che hanno dominato la stagione fino all’inizio della primavera, sono in affanno ma riescono ad arrivare all'ultimo turno avanti di due punti. All’atto finale della stagione, però, si arriva in coda a un mare di polemiche: nella penultima giornata, infatti, Juventus vince 1-0 contro il Parma al termine di una partita decisa da un gol annullato nel finale a Fabio Cannavaro (che allora vestiva la maglia gialloblù) per un fallo in attacco piuttosto dubbio. Il pareggio avrebbe appaiato le due squadre a 90 minuti dalla fine, invece la Juventus conserva il distacco: la classifica recita Juve 71, Lazio 69.
L’ultima giornata, sulla carta, difficilmente fa pensare a possibili sorprese: la Lazio gioca contro la Reggina in casa, la Juve affronta il Perugia in trasferta. Entrambe le squadre sono già salve, potenzialmente non rappresentano un pericolo. I corsi e ricorsi storici lasciano però qualche dubbio in casa bianconera: proprio contro il Perugia la Juventus perse lo scudetto 1976 (a favore del Torino), venendo sconfitta per 1-0 con rete di Renato Curi, sfortunato centrocampista cui è intitolato lo stadio umbro. Ma al di là della cabala Ancelotti è ottimista. Si comincia alle 15, gli occhi sono puntati sull’Olimpico di Roma e sullo stadio di Perugia.
Il primo tempo sorride ai biancocelesti che con due rigori, uno segnato da Simone Inzaghi e l’altro da Juan Sebastian Veron, sono avanti 2-0. Duecento chilometri più a Nord la situazione è diversa: la Juve non riesce a pungere, gli umbri allenati da Carlo Mazzone sembrano più in palla e tengono agevolmente a bada i bianconeri: si va all’intervallo sullo 0-0. Se il campionato finisse così si andrebbe allo spareggio, come previsto dal regolamento di quell'anno.
All’intervallo, però, cambia tutto: su Peugia si abbatte un violentissimo nubifragio, il campo diventa letteralmente una piscina, non ci sono le condizioni per giocare. Il match è sospeso e in un primo momento, per ragioni di contemporaneità, non si riprende nemmeno a Roma. Tutti gli occhi sono sull’arbitro di Perugia-Juventus, Pierluigi Collina, e sui capitani delle due squadre, Antonio Conte e Renato Olive. I bianconeri giocherebbero volentieri la ripetizione tre giorni dopo, ma Collina decide di attendere che il campo diventi praticabile, giacché il regolamento lo permette. Diventano emblematiche, in tal senso, le immagini dell’arbitro che, protetto da un ombrello, prova invano a far rimbalzare il pallone.
Quindici minuti oltre la fine dell'intervallo si decide di riprendere Lazio-Reggina, ma le orecchie dei tifosi laziali sono tutte sulla radiolina, in attesa di aggiornamenti da Perugia. La partita contro i calabresi scivola via con due sole altre emozioni, il terzo gol segnato dal Cholo Simeone e la standing ovation riservata a Roberto Mancini al momento della sua uscita dal campo. Per l’attuale ct, infatti, quella è la sua ultima partita in biancoceleste. A Perugia si riprende 12 minuti dopo le 17, oltre un’ora dopo il fischio finale del primo tempo. L’atmosfera al Curi è surreale, i bianconeri sembrano spaesati e al 4’ subiscono un colpo devastante: in una delle sue rare sortite offensive, in occasione di una punizione dalla tre quarti, il centrale perugino Alessandro Calori stoppa il pallone dopo una corta respinta della difesa e lo calcia col destro, battendo un incerto Van der Sar. A sorpresa, il grifone è avanti 1-0.
A Roma esplode la festa, ma c’è chi dice che è troppo presto, che la Juve ha tutto il tempo di recuperare. E sarebbe anche vero, se non fosse che i bianconeri ormai sono stanchi, sfibrati, nervosi. L’assedio è sterile e viene condotto negli ultimi minuti anche in dieci per l’espulsione (doppio giallo) di Gianluca Zambrotta. Non bastano le mosse della disperazione di Ancelotti, che nel finale gioca con cinque attaccanti: Zinedine Zidane, Alessandro Del Piero, Filippo Inzaghi, Darko Kovacevic e Juan Esnaider.
Alle 18.04 il fischio finale sancisce un verdetto inatteso: la Lazio è campione d’Italia. La gioia è indescrivibile fra i tifosi e negli spogliatoi, alcuni giocatori salgono in tribuna scatenandosi assieme alla folla. La festa di Alessandro Nesta e compagni si sposterà poi al Circo Massimo dove, in serata, oltre 300mila tifosi acclamano la squadra. Roma, il 14 maggio 2000, è biancoceleste.
Sono ormai passati vent’anni da quel giorno ed è singolare che la lotta per lo scudetto di questa stagione, sempre se il campionato riesca effettivamente a ripartire, sia proprio tra Lazio e Juventus: chissà che queste due squadre non riescano a regalare ancora forti emozioni fino al fischio finale dell’ultima giornata. Tenendo anche conto che in estate gli acquazzoni non mancano.