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Accadde oggi: 26 anni fa Milan-Barcellona 4-0, nel segno di Savicevic

È la caduta degli Dei allenati da Cruijff: la doppietta di Massaro, la perla del montenegrino e il poker finale di Desailly stendono i blaugrana

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Il 18 Maggio 1994 Dejan Savicevic scrisse il suo nome a caratteri cubitali nel cuore rossonero, mettendo a tacere chi sosteneva che fosse troppo discontinuo per il Milan: da quel giorno nessuno osò più mettere in discussione il Genio. La compagine di Fabio Capello si laureò campione d’Europa battendo 4-0 ad Atene il super Barcellona di Cruijff: prestazione perfetta quella del montenegrino, coronata da un gol capolavoro. Di Massaro (doppietta) e Desailly le altre reti.

Se in quella magnifica notte del 18 maggio 1994 gli Dei del calcio avessero assistito dall’alto a quegli irresistibili 90 minuti, molto probabilmente avrebbero proposto a Dejan Savicevic di prendere il loro posto. E dire che di Dei, almeno sulla carta, ce ne dovevano essere eccome sul prato dello Stadio Olimpico di Atene: il problema è che si trattava di Dei caduti rovinosamente, proprio come noi comuni mortali. Il Dream Team del compianto Johan Cruijff, artefice di quell’Olanda delle Meraviglie che incantò il mondo negli anni ’70 e che fu l’inventore del “calcio totale”, avrebbe dovuto spazzare via tutto e tutti.

Del resto l’undici titolare di quel Barcellona è da brividi: basti pensare che in tribuna c’è Michael Laudrup, escluso eccellente per via della regola dei tre stranieri. Già, perché con quale coraggio puoi togliere dal campo uno degli altri tre? Ronald Koeman, da buon olandese, è un tuttofare: difende, imposta, segna e con un altro gol diventerebbe capocannoniere solitario di quella Champions League. Davanti c’è Romario, che non è ancora campione del mondo, ma va in rete a un ritmo impressionante. La dieci è la sua; fine delle discussioni. Rimane l’ultimo posto disponibile e sarebbe complicato spiegare a Hristo Stoickov che non è il suo. Non manca la vecchia guardia composta da Zubizarreta, Amor, Nadal, Sergi, Begiristain, più un “giovane vecchio” di nome Pep Guardiola, che per l’occasione indossa la maglia numero 3. Cruijff alla vigilia non ha dubbi: il Barça è favorito. Secondo lui, è addirittura migliorato rispetto alla finale di Wembley di due anni prima, vinta contro la Sampdoria.

Per il Milan sarebbe meglio a questo punto non scendere nemmeno in campo per evitare figuracce. Eppure Fabio Capello, rigoroso e pragmatico, si ostina a non inventarsi nulla di nuovo. Ha solo bisogno di furore agonistico, fiducia nei propri mezzi e del più classico dei 4-4-2. I rossoneri, senza gli squalificati Costacurta e Baresi, hanno perso lungo la strada i tre tulipani Gullit, Rijkaard Van Basten, ma hanno trovato una serie di giocatori che da lì a poco si sarebbero ritagliati un ruolo da protagonisti nel pianeta calcio: Sebastiano Rossi, Christian Panucci, Demetrio Albertini più i nuovi innesti Zvonimir Boban e Marcel Desailly; senza contare i senatori Paolo Maldini, Filippo Galli, Mauro Tassotti e Roberto Donadoni. Davanti c’è la strana coppia Savicevic-Massaro e quella sera diventerà una di quelle notti in cui il Genio esaudisce i desideri più reconditi dei propri tifosi. Il montenegrino è mancino ma, quando al 22’ Zubizarreta gli esce sui piedi, colpisce proprio con quello sbagliato: ne scaturisce un cross strano, quasi magico, che termina esattamente su Daniele Massaro, perfettamente posizionato, che sigla indisturbato l’1-0. Allo scadere del primo tempo, a Donadoni basta un’accelerazione improvvisa per saltare Ferrer e incunearsi nei sedici metri blaugrana puntando la linea di fondo. Anziché tirare, il numero 7 appoggia qualche metro indietro, dove un piede sinistro forse non eccelso, ma certamente puntuale, impatta con la sfera e la spedisce in rete. È di nuovo quello della Provvidenza, che gli vale la doppietta personale.

Tutto finito? Ma nemmeno per sogno. Perché al 2’ della ripresa è apoteosi pura. Albertini allarga sulla destra, Nadal sembra in vantaggio e prima di spazzare fa rimbalzare il pallone. Dejan gli si para davanti e alto lo anticipa, con un piede forse un po’ troppo alto: il pallone s’impenna e scavalca il difensore, Savicevic è più veloce del difensore del Barcellona. Lascia rimbalzare la palla e con un sinistro vellutato disegna un arcobaleno che sembra essere riprodotto con un compasso. Zubizarreta è attonito: prova con un colpo di reni ma la parabola è troppo perfetta per potere essere intercettata. Il pallone, nel silenzio di uno stadio ammutolito per la giocata, s’insacca nel sette e in un secondo distrugge anni di rivoluzioni tattiche e novità dentro e fuori dal campo di Cruijff, immobile in panchina. È la fine. Ma il cronometro scorre ancora: Savicevic si avventa su una sfera lanciata in profondità dal piede di Demetrio Albertini ma il suo tocco, sull’uscita del portiere, è troppo preciso e stavolta si stampa sul palo. Poco male, perché ci penserà Desailly a calare il poker sugli sviluppi di quell’azione. Il 18 maggio 1994 il trono spetta al Diavolo. Sulla pista dello Stadio Olimpico Spyros Louīs festeggiano i comuni mortali, mentre gli Dei piangono lacrime amare. Genio a parte.

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