Il sogno del Bologna e del suo allenatore Sinisa Mihajlovic si chiama Zlatan Ibrahimovic, e non è un segreto. È vero che i sogni devono scendere a patti con la realtà, e che quella attuale dello svedese si chiama Milan, ma Ibra e il suo agente Mino Raiola vogliono capire i progetti a breve termine della società prima di prendere una decisione sul futuro. Tra le ipotesi sul tavolo c'è anche il Bologna, che ha una carta in più da giocare: sotto le Due Torri negli ultimi decenni i campioni sono rifioriti.
Per la verità, quattro gol in 10 partite (non tutte giocate da titolare) sono tutto tranne che un bottino magro per un giocatore che a ottobre compirà 39 anni. Il Milan ha certamente beneficiato della “cura-Ibra”, risalendo posizioni in campionato fino ad affacciarsi per un attimo a un balcone con vista sull'Europa, prima del tonfo casalingo contro il Genoa, gara in cui Ibrahimovic è andato a segno ma che i rossoneri hanno perso malamente. È forse da questa partita, l'ultima prima dello stop per l'emergenza sanitaria, che il gigante svedese si fa domande sul futuro. Certamente i dubbi su chi siederà sulla panchina rossonera nella prossima stagione non agevolano la permanenza.
Secondo Mihajlovic, Zlatan non resterà al Milan, cosa che lo ha convinto a riprovare l'assalto. Chissà se, risentendo il vecchio amico, non gli abbia ricordato gli esempi di campioni come Baggio, Signori o di giocatori come Di Vaio, Palacio e Gilardino, dati per finiti ma che in Emilia hanno disputato stagioni esaltanti.
È un vero caso di scuola quello del Divin Codino. Che però il codino, a Bologna, non l'ha quasi mai mostrato. Per il campionato 1997-98 Baggio era andato via proprio dal Milan con in testa un solo obiettivo: la convocazione per i Mondiali di Francia. E per conquistarli doveva giocare e segnare con continuità. Qualcuno riteneva che gli anni migliori fossero ormai passati per il fuoriclasse, soprattutto dopo l'esperienza agrodolce in rossonero: Baggio rispose con 22 gol in 30 partite e si guadagnò la chiamata di Cesare Maldini. Dopo la rassegna iridata passò all'Inter e venne sostituito da Giuseppe Signori, un altro “10” che aveva bisogno di una spolverata. Beppe-gol era stato scaricato in fretta e furia dalla Lazio, maglia con cui aveva segnato 126 gol in 195 partite. Terminata l'infelice parentesi alla Sampdoria, Signori ripartì con i rossoblu nell'estate del 1998 e con il Dall'Ara fu amore a prima vista: 84 centri in 178 gare, per poi lasciare nel 2004, mentre il suo illustre predecessore, Baggio, si ritirava dal calcio.
Ma non c'è bisogno di tornare così indietro per capire quanto Bologna possa essere piazza “cura-campioni”. Ci sono casi molto più recenti, come quelli di Gilardino e Palacio, attaccanti di razza ma arrivati in Emilia tra qualche mugugno. Il “Gila”, precisamente, nell'estate del 2012, in prestito dal Genoa. Con la maglia del Grifone aveva realizzato solo quattro gol, ma sotto la guida tecnica di Stefano Pioli ritrovò se stesso e tornò ai livelli di Parma e Firenze: in 36 gare segnò 13 reti, molte decisive (come la doppietta nella rimonta contro la Roma di Zeman). L'ultimo dei “rigenerati”, in ordine di tempo, è stato “El Trenza” Palacio, ancora uno dei protagonisti dei rossoblu, diventato subito tra gli idoli del Dall'Ara perché, pur con 38 anni e mille battaglie nelle gambe, ha ancora benzina in corpo e dà sempre tutto.
Treccia al vento per l'argentino, nemmeno quella per Marco Di Vaio, ora dirigente del Bologna: nel 2008 l'attaccante veniva da tre anni quasi buttati tra Valencia, Monaco e Genoa, e le speranze che potesse tornare ai tempi d'oro di Parma e Juventus erano praticamente svanite. Invece Di Vaio in rossoblu fece addirittura meglio: 66 gol in quattro anni. Strepitosa la prima stagione, con 24 reti e il secondo posto nella classifica cannonieri. Dietro a chi? Già, Zlatan Ibrahimovic. E chi è stato tra gli allenatori di quel Bologna? Proprio lui, Sinisa Mihajlovic. Magari sono solo coincidenze, ma quando cominciano a essere tante, nessun sogno è proibito.