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Accadde oggi: 2010, l'Inter vince la Champions League e completa il Triplete

Il 2-0 sul Bayern, la doppietta di Milito, la coppa vinta 45 anni dopo e sollevata al cielo di Madrid da Zanetti. Un trionfo nato da lontano: ripercorriamone le tappe

Una festa senza confini: il Triplete al Bernabeu

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Il 22 maggio è una data indelebile nella storia dell'Inter che proprio in quel giorno, nel 2010, conquistò finalmente la Champions League battendo per 2-0 il Bayern Monaco a Madrid. La terza Coppa dei Campioni/Champions nerazzurra, 45 anni dopo l'ultima targata Helenio Herrera. Fu quello il tassello conclusivo dello storico Triplete, giunto con la firma d'autore di Diego Milito e al termine di un'esaltante cavalcata per i ragazzi di José Mourinho.

Un successo atteso da un popolo intero per 45 lunghi anni, e arrivato in una notte da sogno iniziata 14 mesi e mezzo prima. In un'altra notte che invece rappresentò un incubo. L'arrivo di José Mourinho era stato l'anticamera, che aveva solleticato non poco la fantasia dell'ambiente. Ma quella notte che precedeva di 14 mesi e mezzo l'apoteosi, l'11 marzo 2009, sembrava raccontare una storia completamente diversa. Una caduta, ancora, nonostante una squadra formidabile e un allenatore vincente: 0-2 a Old Trafford con il Manchester United, addio sogni di gloria. Nerazzurri grandi in Italia, piccoli fuori. Tanto da dare il via ai mal di pancia della stella più lucente, quello Zlatan Ibrahimovic pronto a fare le valigie direzione Barcellona. Cosa che sarebbe avvenuta l'estate successiva. Non rivelandosi però la fine della scalata, ma il suo inizio.

Lo svedese venne rimpiazzato con due stelle luminosissime: il suo ruolo da goleador fu preso da Diego Milito, acquistato del Genoa, il suo ruolo da leader offensivo della squadra da un Leone indomabile che tale lo era davvero. E non solo perché si trattava del soprannome della sua nazionale. Parliamo di Samuel Eto'o, ben più che una mera contropartita tecnica per il riottoso Ibra.

C'è altro, perché al già rodato motore della difesa venne aggiunto un big internazionale come Lucio, e se Luis Figo decise di appendere gli scarpini al chiodo, il livello di classe rimase elevatissimo grazie all'arrivo di Wesley Sneijder. Che pochi metri alle sue spalle si ritrovò un giocatore prematuramente appassito e poi riesploso alla grandissima, come Thiago Motta.

Una macchina apparentemente perfetta, ma una volta ancora le cose sembrarono complicarsi sin dal principio: nel girone di Champions League c'era il formidabile Barcellona (proprio quello di Ibra), ma anche le abbordabili Dinamo Kiev e Rubin Kazan. L'Inter però non andò oltre tre miseri pareggi nelle prime tre partite. Complicatissimo tra l'altro quello di Kazan, con i nerazzurri completamente privi di attaccanti tra infortuni e squalifiche, e in più Balotelli espulso pochi minuti dopo l'inizio della ripresa. Stankovic tolse le castagne dal fuoco e Mourinho solo a bocce ormai ferme riuscì a sorridere di una delle prime follie della carriera di 'SuperMario'.

Da quel momento, in qualche modo, i pianeti si allinearono nel migliore dei modi. Già la quarta partita poteva rivelarsi fatale per i nerazzurri, in svantaggio a Kiev prima della rimonta in extremis firmata da Milito e Sneijder. Quindi la consapevolezza del gruppo crebbe partita dopo partita, mentre Mourinho con le sue dichiarazioni al vetriolo alla stampa indossava i panni del parafulmine. Un provocatore nato, all'apparenza, che però non fece altro che compattare i suoi ragazzi e al contempo liberare la loro mente. La critica si concentrava sullo Special One, e intanto la squadra giocava, sudava, soffriva, e non si fermò più. Centrando grandi imprese (da citare l'1-0 di Londra contro il Chelsea, firmato Eto'o, e il 3-1 in rimonta di San Siro contro il Barcellona, di nuovo). Quando le cose si mettevano male, poi, era il cuore a saltare l'ostacolo: avvenne al ritorno del Camp Nou, con una squadra in trincea che difese lo 0-1 in dieci nonostante la folle espulsione di Motta nei primi minuti provocata da una sceneggiata di Busquets.

L'allineamento dei pianeti puntò quindi al Santiago Bernabeu di Madrid, sede della finalissima contro un Bayern Monaco tutt'altro che irresistibile soprattutto in difesa. Specie al cospetto di un Milito giunto al miglior mese della sua intera carriera. Il 'Principe' aveva già deciso personalmente due titoli: la Coppa Italia, con il gol in finale del 5 maggio, e lo scudetto, con la rete a Siena del 16. Quasi fatale che fosse proprio l'argentino l'uomo del destino: suo il vantaggio al 35', su servizio di Sneijder e sgusciando tra quattro maglie biancorosse. Ancora più epico il raddoppio, giunto al 25' della ripresa: Eto'o gli servì il pallone dall'interno del cerchio di centrocampo, Milito lo controllò sulla trequarti. Davanti a lui c'era Van Buyten, ma la sensazione era quasi quella di un gol quasi già fatto. Come se davanti al 'Principe' ci fossero pochi metri di campo senza avversari nel mezzo. C'era invece il gigantesco centrale belga, saltato con uno strepitoso gioco tutto di destro, stesso piede del gol della leggenda.

In mezzo ai due gol c'erano stati almeno tre salvataggi decisivi da parte di Julio Cesar e Cambiasso, perché all'Inter piace vincere, ma se non c'è sofferenza non sarebbe davvero Inter. E l'apoteosi arrivò nel momento in cui la coppa fu finalmente alzata in cielo. Capitan Javier Zanetti, al centro, Ivan Cordoba alla sua destra, Esteban Cambiasso a sinistra. All'Inter rispettivamente dal 1995, dal 2000 e dal 2004. Tre simboli di tre generazioni diverse di Inter, caratterizzate da tante battaglie e tante delusioni. Ora uniti sotto una targa comune: "gli eroi del Triplete". I primi, e al momento ancora gli unici, della storia del calcio italiano.
 

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