Pochi giocatori, quasi nessuno, sono riusciti a mettere d'accordo le secolari fazioni del calcio italiano. Si tratta di una categoria ristrettissima, nella quale rientra a pieno titolo Gaetano Scirea, leader carismatico e libero storico della Juventus e della Nazionale. Oggi 25 maggio avrebbe compiuto 67 anni, non fosse stato per quel maledetto incidente mortale del 1989.
Occorre infatti essere grandi uomini per smarcarsi dalla maglia che si porta ogni domenica e farsi celebrare al di là dei colori, che sono per natura divisivi: la numero 6 di Gaetano Scirea fonde le strisce bianche e nere della Juventus per diventare un modello di riferimento accettato e amato da tutti gli altri tifosi. Sguardo sereno, pulizia nel gesto tecnico che segue la placidità caratteriale: insieme a Franco Baresi, Scirea è senza dubbio il miglior libero della storia del calcio italiano.
C'è chi preferisce l'esuberanza del “Picinin”, chi invece la forza tranquilla di quest'uomo nato nel 1953 a Cernusco sul Naviglio, nell'hinterland milanese. La scelta si lega a scuole di pensiero che interpretano il ruolo in due modi differenti: “Gai” è un libero classico, alla Beckenbauer, e condivide con il Kaiser l'eleganza e la bravura nell'impostazione; Baresi è più roccioso, esplosivo, e forse più forte nell'uno contro uno puro, ma meno proteso in avanti benché abbia giocato in un Milan rivoluzionario, mentre Scirea esce spesso e volentieri dalle retrovie malgrado sia ancorato al “catenaccio”.
Ad ogni modo, si tratta di due leggende del calcio italiano e mondiale. Quella di Scirea nasce all'Atalanta, nei primi anni Settanta. Il presidente Achille Bortolotti, amico di Boniperti, lo dà alla Juventus nel 1974, con un pizzico di orgoglio: “Te lo porto io a Torino, Giampiero. Questo ragazzo è diverso da tutti gli altri”, gli dice. E in effetti Scirea è su un pianeta a parte. Libero con piedi da trequartista, nasce come mezzala ma viene arretrato a ultimo dei difensori. Da dietro vede tutto, ha i piedi per applicare le sue idee e la correttezza per farsi rispettare. Sfatiamo un mito: è falso che non sia mai stato ammonito. Però è vero che non ha mai subìto un'espulsione, ed è un dato incredibile.
Quasi non facendosi notare, si impone come il miglior difensore italiano della sua epoca. Pensa le cose un secondo prima degli altri, legge lo sviluppo dell'azione meglio di tutti e sa modificare la posizione in campo a seconda del movimento dei compagni: così, quando Cabrini si sgancia, sa di avere più compiti di marcatura. Il tutto dietro la regia sapiente di Dino Zoff, una sorta di angelo custode sia nel club che in Nazionale: i due si intendono anche con uno sguardo, la parola è ridotta ai minimi termini. Sono compagni di stanza, che Tardelli battezza “la Svizzera”: silenzio bibliotecario, concentrazione monacale e talvolta qualche partita a carte, se proprio ci si vuole abbandonare all'euforia.
Con la Juventus, Scirea colleziona 554 partite e 32 reti spalmate su 14 stagioni ricche di trionfi in Italia, in Europa e nel mondo: sette scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa europea, una Coppa Intercontinentale, ai quali si sommano l'unico trofeo che forse non avrebbe voluto vincere, quella Coppa dei Campioni macchiata con il sangue dell'Heysel, il 29 maggio 1985. Assieme a Cabrini diventa il primo giocatore in assoluto ad avere in bacheca tutte le competizioni internazionali organizzate dalla Uefa. E insieme al “Bell'Antonio” conquista anche la Coppa del Mondo con la maglia azzurra, in quella magica spedizione spagnola del 1982, arroventata dalle polemiche iniziali con la stampa. Scirea, quasi vivesse in un mondo a parte, si isola totalmente e pensa solo a giocare, dando l'esempio in campo. E a guidare quel contropiede alla Germania in finale c'è proprio lui, insieme a un giovanissimo Bergomi.
Simbolo di un calcio che non c'è più, Gai è uno degli ultimi baluardi di un calcio legato più alla dimensione umana che a quella mediatica, più al prato verde che alle copertine dei giornali. È un uomo di campo e anche per questo, finita la carriera, accetta l'incarico di vice-Zoff, diventato allenatore bianconero. Per l'amico Dino arriva in Polonia a osservare il Górnik Zabrze, avversario in Coppa Uefa: entrambi ritengono superflua tanta attenzione per una squadra di basso livello, ma la dirigenza bianconera insiste e Scirea fa i biglietti. Nel viaggio di ritorno, andando in macchina verso l'aeroporto di Varsavia, lo schianto fatale. È il 3 settembre 1989 e dalla voce rotta di Sandro Ciotti nel corso de “La Domenica Sportiva”, l'Italia capisce di aver perso per sempre un leader silenzioso