Sono 17 anni domani, che sono tanti o sono pochi, dipende da come li hai vissuti e da chi li ha vissuti, Da quel 28 maggio 2003 per Andriy Shevchenko di cose ne sono passate parecchie. Un'altra finale di Champions, quella di Istanbul con il Liverpool, persa in un modo che non si dimentica. Quindi il passaggio al Chelsea, il ritorno al Milan e di nuovo Chelsea e Dinamo Kiev prima del ritiro e dell'avvio di una brillante carriera da ct del suo Paese. Una vita che non è bastata a cancellare la notte magica di Old Trafford, non per niente il Teatro dei sogni. La mente di Sheva, comunque vada, resta ferma lì. Gli occhi diventano lucidi e ciascun fotogramma preciso al millimetro. Pallone, arbitro, pallone, Buffon. Qualche secondo appena, sospeso, con tutto il mondo Milan sulle spalle, prima della corsa verso Dida e di quell'urlo liberatorio.
Intervistato da Dazn, Shevchenko ripercorre quei momenti, a partire dalla camminata che lo separavano, allora, dagli ultimi, decisivi, undici metri: "Il mio ricordo più bello con il Milan? La notte di Champions League contro la Juventus. Era la prima finale che giocavo ed è stata la partita più importante della mia vita. Non dimenticherò mai quei 12/15 secondi in cui da metà campo sono andato verso il pallone per tirare l'ultimo rigore. In quel momento, in quei 12 secondi, ripensi a tutta la tua vita. Da quando da bambino avevi un sogno fino al momento in cui capisci che quel sogno si sta realizzando in quell'esatto momento. Nella testa hai già pensato a come devi tirare. Io ho guardato l'arbitro, la palla e Buffon. Ho sento il fischio dell'arbitro e ho tirato il pallone come avevo pensato e voluto",
C'è spazio per un piccolo retroscena sul suo arrivo in rossonero: E' stato un momento speciale. È stato Ibrahim Ba a dirmi che se volevo il 7 potevo averlo. Due giorni dopo ricordo anche che mi chiamò un amico d'infanzia per dirmi che 7 in ebraico si dice 'Sheva' (non ci potevo credere). Mi ha detto che mi avrebbe portato fortuna".