La Champions League 2002/03, senza ombra di dubbio, rappresenta il punto più alto del calcio italiano nel più importante torneo europeo. Non era mai successo, prima di allora, che tre delle quattro semifinaliste fossero italiane e allo stesso modo non era mai accaduto che a contendersi la coppa nell’atto finale fossero due compagini provenienti dalla Serie A. Da allora, però, un evento del genere non è neanche più ricapitato: Inghilterra e Spagna hanno conquistato il predominio europeo negli anni successivi, le altre nazioni hanno fatto più o meno da comparsa (benché l'Italia vanti altre due vittorie, Milan 2007 e Inter 2010). Il primo e unico 'derby tricolore' però è entrato nell'epica del calcio internazionale, e merita di essere ricordato a diciassette anni esatti di distanza.
Il cammino delle due finaliste è tutt'altro che semplice. Il Milan, addirittura, rischia già nei preliminari contro lo Slovan Liberec (andata 1-0 a San Siro, ritorno 1-2) ma il gol di Filippo Inzaghi in Repubblica Ceca vale doppio e basta per avanzare alla fase a gironi. Nel primo turno, sia il Milan sia la Juventus passano piuttosto agevolmente, mentre nella seconda fase a gironi (che i rossoneri superano in scioltezza) la Juve soffre parecchio e necessita della classifica avulsa per avere la meglio su Basilea e Deportivo, arrivate a pari punti. Ai quarti e in semifinale la sofferenza è comune: il Milan supera l’Ajax (0-0 e 3-2) con la storica rete di Tomasson (rivendicata ancor oggi da Inzaghi) nei minuti di recupero della gara di ritorno, prima di battere l’Inter, nel derby di semifinale, grazie al gol ‘fuori casa’ di Shevchenko che fa la differenza dopo due pareggi (0-0 e 1-1). La Juventus compie invece una vera e propria impresa al Camp Nou (2-1 dopo l'1-1 di Torino), vincendo ai supplementari contro il Barcellona grazie alla rete di Marcelo Zalayeta, poi batte in semifinale il Real Madrid rimontando l’1-2 del Bernabeu con un’epica prestazione nella gara di ritorno, un 3-1 firmato da David Trezeguet, Alessandro Del Piero e Pavel Nedved. Proprio il ceco, tra i migliori calciatori al mondo all’epoca, compie però una leggerezza a pochi minuti dalla fine e si fa ammonire: è diffidato e salta così la finale, per la Juve è una perdita gravissima.
A Manchester si gioca il 28 maggio. L'atmosfera è elettrica, il Milan vuole iniziare un nuovo ciclo di successi dopo un paio di stagioni deludenti, la Juventus vuole fare doppietta con il campionato vinto pochi giorni prima. In campo, Ancelotti schera la formazione tipo, dall’altra parte Marcello Lippi sposta Gianluca Zambrotta nella posizione abitualmente occupata da Nedved e schiera Paolo Montero terzino sinistro. Il match inizia con il Milan che prende le redini del gioco: i rossoneri, al 9’, vanno anche a segno con Andriy Shevchenko ma l’arbitro Markus Merk annulla per un fuorigioco di Rui Costa, che pur non toccando la palla ostacola la visuale di Gigi Buffon, impedendogli di intervenire. I rossoneri continuano a spingere e si riavvicinano al gol con Inzaghi, ma Buffon si oppone alla grande e respinge il colpo di testa di SuperPippo. Lippi capisce che qualcosa non va e cambia tattica: poco prima dell’intervallo fa entrare Alessandro Birindelli, terzino di ruolo, al posto di Igor Tudor spostando Montero al centro della difesa, e dopo la pausa inserisce Antonio Conte al posto di Mauro Camoranesi per dare più peso al centrocampo. La mossa sembra funzionare, proprio Conte colpisce la traversa con un colpo di testa imprendibile per Dida. La Juve prende lentamente campo e Lippi rischia inserendo Zalayeta, un attaccante, al posto di un centrocampista, Edgar Davids. Ancelotti risponde con gli ingressi di Roque Junior, Serginho e Massimo Ambrosini al posto di Alessandro Costacurta, Andrea Pirlo e Rui Costa. La partita diventa tattica, il ritmo si abbassa notevolmente e al 90’ è 0-0. Si va ai supplementari.
Entrambe stanche, le due squadre non riescono a farsi male nell’extra time. La Juventus non approfitta nemmeno della virtuale superiorità numerica dovuta all'infortunio al 5' di Roque Junior, che resta stoicamente in campo ma riesce a malapena a camminare. I calci di rigore diventano inevitabili. Per il Milan è una novità assoluta in finale di Champions, la Juventus invece ha vinto nel 1996 contro l’Ajax proprio dopo i tiri dal dischetto. Iniziano i bianconeri, con Trezeguet: il francese, però, tira praticamente addosso a Dida. Il Milan inizia con Serginho, che non sbaglia. Il secondo tiro della Juventus è affidato a Birindelli, che mostra freddezza e supera il portiere brasiliano. Per il Milan va sul dischetto Clarence Seedorf, che si fa ipnotizzare da Buffon: si resta sull'1-1. Si capisce a vincere sarà chi sbaglierà di meno quando anche i due successivi rigoristi, Zalayeta e Kakha Kaladze, si fanno parare i rispettivi rigori. La tensione cresce e non risparmia nemmeno un duro come Montero: il suo tiro è prevedibile, Dida lo neutralizza. Per i rossoneri è il turno di Alessandro Nesta: l’ex Lazio tira angolato alla sua destra, a mezz’altezza, Buffon intuisce ma la palla entra. Il Milan è in vantaggio prima dell’ultimo rigore. Del Piero, grande specialista, non sbaglia e tiene vive le speranze bianconere, la pressione è tutta su Shevchenko. Resta nella storia l’inquadratura che lo fissa mentre, con lo sguardo concentratissimo, gira più volte la testa in direzione dell’arbitro in attesa del via libera. Il direttore di gara fischia, Sheva inizia la rincorsa e tira, spiazzando Buffon. Il Milan è campione d’Europa.
Per i rossoneri è l’apoteosi, la sesta Champions League della loro storia, l’inizio di un ciclo leggendario di vittorie. A sollevare la coppa per primo è Paolo Maldini: quarant'anni prima lo aveva fatto suo padre Cesare, dopo la vittoria contro il Benfica. Si tratta del primo importante trofeo anche per Carlo Ancelotti, fino ad allora etichettato come eterno secondo. Solo rimpianti, invece, per la Juventus, costretta a un’altra delusione europea. Ancor oggi i tifosi bianconeri si chiedono cosa sarebbe successo con Nedved in campo, ma la storia, come sempre, non si fa né con i 'se' né con i 'ma'.