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Accadde oggi: “Clamoroso al Cibali”, l'Inter di Herrera si inchinò al Catania

Il 4 giugno 1961 i siciliani vinsero 2-0 spegnendo le residue speranze-scudetto dei nerazzurri

Il 1961 è stato un anno importante per definire l'impatto del calcio italiano sulla rete sociale e sul vissuto della popolazione. Verso Natale i bambini potevano scambiarsi le primissime figurine Panini dei calciatori e il “Celo, manca” entrava a far parte del linguaggio comune. Pochi mesi prima, venne pronunciata un'altra espressione destinata a fare la storia: il 4 giugno 1961, esattamente 59 anni fa, nacque il “Clamoroso al Cibali”, dal nome dello stadio di Catania.

Il contesto era Catania-Inter, gara dell'ultima giornata del campionato 1960-61. Un torneo segnato dalle polemiche di Juventus-Inter, sospesa per invasione di campo dei tifosi: in primo grado fu assegnata la vittoria ai nerazzurri, in appello si decise di ripetere la partita. L'Inter, allenata da Helenio Herrera, doveva per forza conquistare i due punti per sperare di arrivare al recupero di Torino con qualche chance di scudetto. 

La missione non era immediata: l'ostico campo catanese era stato terra di conquista solo per Juventus e Lazio. Tuttavia la differenza di motivazioni di classifica faceva pendere la bilancia nettamente dalla parte dell'Inter, in corsa per il primato mentre i siciliani erano già ampiamente salvi. Herrera, però, all'andata peccò in superbia e schernì gli etnei dopo il 5-0 di San Siro, provocato da quattro autogol: “Il Catania è una squadra di dilettanti postelegrafonici baciata dalla fortuna”. Non le dichiarazioni più geniali della storia, perché in Sicilia se la legarono al dito e per l'Inter una potenziale passeggiata di inizio giugno si trasformò in una discesa all'inferno. Al Cibali non entrava nemmeno uno spillo, i tifosi volevano chiudere con una dolce vendetta un campionato già strepitoso per una neopromossa, chiuso infine all'ottavo posto.

I catanesi non avevano bisogno delle parole del mister Di Bella o del presidente Marcoccio: fuori tutti, negli spogliatoi bastava guardarsi negli occhi e ricordarsi delle dichiarazioni imprudenti di Herrera. I rossoblu costrinsero gli ospiti ad arroccarsi per tutta la partita. Il Catania era l'Inter e l'Inter era il Catania: i siciliani passarono in vantaggio nel primo tempo con Mario Castellazzi e raddoppiarono nella ripresa con l'idolo di casa, l'argentino “Todo” Calvanese. E Sandro Ciotti, dai microfoni di “Tutto il calcio minuto per minuto” urlò la fatidica frase, perché mentre Milano e Torino stavano guidando l'Italia nel miracolo economico, nel calcio c'era un Sud punto nell'orgoglio, che si riscattava e decideva le sorti dello scudetto.

La vendetta si trasferì ben presto dal campo agli spalti: i tifosi irrisero il tecnico dell'Inter cantando “Herrera cha-cha-cha” e fecero sfilare una bara con le insegne della squadra nerazzurra. Addirittura, in segno di scherno verso i dirigenti, partì il coro “Viva la Juventus”, che pareggiando contro il Bari si era assicurata il 12esimo scudetto. Contestualmente, uno stadio entrava nel linguaggio comune per definire ogni risultato che ribaltava il pronostico.

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