"Mai ho firmato qualcosa che attesti che alla Ferrari sarò il secondo pilota". Lo ha affermato senza giri di parole Carlos Sainz jr, che ancora prima di arrivare a Maranello ha già messo in guardia Charles Leclerc. Che del resto lo sa bene, per aver messo Sebastian Vettel nelle stesse condizioni: chi arriva in Rosso da numero 2, non è detto che non diventi numero 1. I precedenti, da Niki Lauda a Gilles Villeneuve, non mancano.
Se c'era un modo di mettere pressione a Leclerc a nove mesi e un'intera stagione dal momento in cui i due saranno compagni di squadra, allora Carlos Sainz l'ha già trovato. Altro che scudiero: la Ferrari del 2021 si ritroverà ancora una volta due galli in un pollaio, quella stessa situazione che il grande capo dell'epoca più vincente del Cavallino aveva sempre cercato di evitare. Stiamo parlando di Jean Todt, e della Ferrari che negli anni di Michael Schumacher pose al fianco del Kaiser due ottimi piloti. Cui però mancò sempre quell'ultimo passo per giocarsela alla pari con l'asso di Kerpen: Rubens Barrichello, nel periodo dei cinque mondiali vinti, e prima di lui Eddie Irvine. Che la grande occasione la accarezzò nel 1999, senza mai riuscire realmente a convincere nessuno di essere diventato davvero il caposquadra. Di piloti a Maranello arrivati come scudieri e diventati capitani, però, non ne sono mancati. E uno di loro ha fatto in tempo a correre anche con Re Schumi. Era Felipe Massa, che nel 2006 vinceva a Interlagos proprio mentre il compagno tedesco abdicava, e si mise quindi al servizio di Kimi Raikkonen nel trionfale 2007. Salvo essere lui a sfruttare l'appannamento del finnico in un 2008 in cui gli mancò una sola curva per laurearsi campione.
L'arrivo di Fernando Alonso, poi, lo fece tornare numero due. Tutto partì però negli anni '60. Nel decennio precedente entrò nella leggenda Peter Collins, che addirittura rinunciò a giocarsi un mondiale pur di aiutare il titolare Fangio, regalandogli la sua stessa macchina per laurearsi ancora una volta campione del mondo nel 1956. Se nel 1961 un apparente scudiero, Phil Hill, arrivò al titolo a causa della scomparsa del compagno Wolfgang von Trips, prima figura a scompaginare per davvero le carte del Drake fu Jacky Ickx: velocissimo ma inesperto, il giovane belga fu ingaggiato nel 1968 solo per crescere e aiutare Chris Amon, amatissimo da Enzo Ferrari e Mauro Forghieri. In realtà l'esordiente lasciò le briciole al più accreditato compagno, arrivando a sfiorare il titolo nel 1970 dopo un temporaneo divorzio con passaggio alla Brabham. Il gregario divenuto d'imperio capitano, però, se guardiamo in casa Ferrari ha per eccellenza un nome e un cognome: Niki Lauda.
Assunto su specifica indicazione del già esperto Clay Regazzoni con cui aveva diviso il volante della Brm, il "computer" austriaco si mise di traverso nella corsa verso l'iride del buon Clay nel 1974, salvo scippargli i ranghi di prima guida l'anno successivo andando lui a prendersi il mondiale. Fece in tempo, Lauda, anche a incrociarsi con un altro emergente come Gilles Villeneuve: fu infatti quest'ultimo a prenderne il posto sulla Rossa numero 11 quando, a mondiale già vinto, Niki disse basta e rinunciò alle ultime due gare del 1977. Villeneuve ci mise ben poco a entrare nei cuori di Enzo Ferrari e di tutti i fan della Rossa di Maranello: secondo mai domo di Reutemann e Scheckter, quando l'Orso sudafricano esaurì ogni vena competitiva ritirandosi un anno dopo essersi seduto sul trono mondiale, la prima Ferrari andò di diritto proprio a Gilles. Anche se per i giochi del regolamento aveva un numero alquanto strano: il 27. Quel 27 consegnò l'Aviatore alla leggenda, ma accompagnò anche la sfortunata rincorsa al mondiale 1985 di Michele Alboreto. Che non lo cedette mai al rampante Gerhard Berger, che anno dopo anno divenne però nei fatti prima guida pur restando fedele al 28.
Numero con cui debuttò in Rosso un altro francofono dal sangue caldo, giunto nel 1991 a Maranello per stimolare Alain Prost senza infastidirlo troppo: si chiamava Jean Alesi, che si ritrovò catapultato improvvisamente nel ruolo di prima guida già nel 1992, dopo il clamoroso licenziamento del connazionale già tre volte campione del mondo. Alesi fu presto raggiunto dal rientrante Berger, con cui formò per anni un sodalizio che sopravvisse anche in Benetton. I due lasciarono spazio a Schumacher nel 1996, e a una nuova era per la Ferrari: c'è un campione, e il suo compagno di squadra. Così le gerarchie sono rimaste sostanzialmente inalterate per circa un quarto di secolo, al netto di stagioni balorde come il 2008 di Raikkonen. Che peraltro quando rientrò nel 2014 mai mise in discussione il nuovo ruolo di scudiero, di Alonso prima e Vettel poi. Serviva un altro francofono, come Villeneuve e Alesi, a cambiare di nuovo il paradigma. E nel 2019 è arrivato Charles Leclerc. La sua esplosione ha progressivamente eroso le certezze di Vettel come numero uno indiscusso del team, fino alla decisione di lasciare. Ma ora occhio a Sainz...