Questa Juve-Lazio non era una questione di scudetto, ma una questione di principio. Vincerla, e vincerla mettendo in campo una squadra superiore all’avversario oltre che nei singoli nella testa, perfino nel cuore, nella lettura della partita nei momenti (meglio se pochi) cruciali. Un principio che non poteva più essere la questione di principio - radicale e legittima - di Maurizio Sarri in quanto pensatore astratto di calcio. Un principio piuttosto rispondente a ciò che a un certo punto doveva coniugare l’essere Juventus e l’essere comunque a un paio di tornanti dal traguardo. Vincerla con anche Rugani al posto di un attaccante a sei o sette minuti dal termine, di fronte a un risultato conquistato, meritato, ma pur sempre da difendere (verbo che continua ad avere un suo perché, un suo senso anche dentro un calcio diverso ma non necessariamente opposto alla storia degli otto scudetti precedenti).
E se di nono scudetto consecutivo davvero si tratterà - non che qualcuno più ne dubiti - sarà sempre e soltanto per una somma di elementi e scelte, giuste o fortunate, coraggiose o sbagliate, e di ciò che hanno dal canto loro provato a fare gli altri non resteranno che briciole e parole. Se nono davvero sarà, sarà anche di Sarri, anche se non del tutto. Non c’è niente di male ad ammetterlo, anzi. Se “senz’altro” sarà lui ancora alla guida della Juventus 2020/21, potrà allora pensare a qualcosa di ancor più suo. A meno che non accada come accadde a Massimiliano Allegri, che del suo primo scudetto quasi nessuno ricorda le tracce dello stile che avrebbe imposto alla squadra negli anni successivi; all’ex tecnico, al primo anno, accadde però di conquistare un clamoroso approdo alla finale di Champions League, che certo non è mai il minimo sindacale. Non lo sarebbe neanche per Sarri, chiaramente, anche se hai DeLigt e Cristiano Ronaldo dalla tua parte. Il campionato ha un certo peso, tanto più questo campionato surrogato e frazionato, ma pur sempre di campionato sbilanciato si tratta.
Tornando al match contro la Lazio, Sarri ha dalla sua questo Rabiot, ma non interamente questo Dybala e forse neanche questo Ronaldo che fece il record assoluto di gol in un singolo girone di Champions League sotto la guida di un Rafa Benítez (ci siamo intesi). Per onestà, questa di CR7 è un’equazione che non sta scritta da nessuna parte perché ci possono anche essere fattori che vanno inesorabilmente per conto proprio. Non ha avuto fin qui dalla sua Bernardeschi, e neppure il Ramsey titolare di ieri sera, dalla sua ci sono invece l’emergenza prolungata sui centrali di difesa nonché la strana convivenza con la situazione che riguarda il fu Miralem Pjanić.
Insomma, tecnicamente parlando, è un po’ il gioco della bilancia che ognuno può far pendere dalla parte che preferisce. Bilancia che è saggezza, e allora lasciamola là per un attimo e andiamo a prenderci un faticoso arrivo solitario a braccia alzate. Perché vincere non è mai banale, ma a volte è necessario. Saranno e saremo tutti più lucidi quando verrà, a breve, il momento di giudicarci a giudicare.