I sogni in genere se li carica la schiena, che dopo alcuni anni comincia a fare male perché è lì che restano le amarezze, le speranze, le illusioni; la schiena si porta addosso le mattine di fatica e le sere di stanchezza. Junior Walter Messias aveva cominciato presto, appena arrivato in Italia dal Brasile a venti anni, portando elettrodomestici nelle case piemontesi, doveva mantenere casa, moglie e due figli, avrebbe voluto giocare a pallone e lo faceva, certo, ma sui campetti di fango e povertà, nella carne aveva la fede in Cristo come gioia della croce e non come dolore da trascinare con affanno; era lontanissimo il villaggio di São Cândido, dov’era cresciuto, aveva giocato con l’Ideal fino ad arrivare alla terza serie del Mineirão prima di partire per l’Italia con il fratello.
Solo che a venti anni per il calcio, quando vuoi iniziare, sei già vecchio, nessuno ti vuole anche se sei bravo, ti accorgi che pure se non hai rughe, esperienza, un lungo passato i tuoi coetanei hanno la vita davanti mentre a te la vita sembra già in buona parte passata; se poi non hai il permesso di soggiorno, diventi addirittura ombra. Somiglia, la prima delle vite di Junior Walter Messias, ai versi del grandissimo poeta Lêdo Ivo.