La conferma di Stefano Pioli sulla panchina del Milan può essere letta sotto mille punti di vista. Quello filosofico-esistenziale: la vittoria dell'uomo sul concetto astratto di "Progetto". Quello "sovranista": il made in Italy che batte la Germania (alla faccia della Merkel e dei suoi connazionali). Oppure quello più semplicemente tecnico-calcistico: la semplicità del lavoro sul campo che supera la complessità di una rivoluzione tattica, metodologica e dirigenziale.
Quella di Pioli, insomma, sembra proprio essere una vicenda che va al di là di una semplice riconferma. Che se la sia meritata sul campo, in ogni caso, non ci sono dubbi: basta vedere il rendimento del Milan post-lockdown. Che se la sia costruita giorno dopo giorno, anche durante l'isolamento coatto con telefonate continue ai suoi giocatori e con lo studio quotidiano su come migliorare la squadra, è un altro dato di fatto. Che aumenta di importanza se si pensa che l'ombra di Rangnick si faceva ogni giorno sempre più ingombrante, come una sorta di countdown in vista della nuova stagione.
Bisogna essere professionisti di livello altissimo per non risentirne. E questo è forse l'aspetto che può regalarci l'insegnamento migliore. Che avesse la capacità nervosa di gestire ogni tipo di situazione stressante era abbastanza chiaro da almeno 35 anni, quando nella finale di Coppa Intercontinentale tra Juventus e Argentinos Juniors ha sostituito nientemeno che Gaetano Scirea contribuendo, a vent'anni appena compiuti, a far salire i bianconeri sul tetto del mondo.
Del resto anche la sua carriera di allenatore parla per lui. Senza proclami e senza spacciarsi per grande stratega ha sempre costruito squadre con una precisa identità di gioco, lasciando da parte integralismi e facendo a meno di un sistema immutabile. Nel Milan la disposizione cambia a seconda delle fasi di gioco ed è anche un piacere per gli occhi vedere certe giocate offensive quando tutta l'ampiezza del campo è coperta in ogni settore e ci sono 5 giocatori sulla trequarti a supporto della punta centrale.
Possiamo vederla nel modo che più ci piace e che più si sposa con le nostre idee. Ma c'è comunque una certezza oggettiva: la conferma di Pioli è il trionfo del lavoro e della professionalità. Sembra una cosa normale. Ma è una piacevolissima eccezione in un mondo che va in tutt'altra direzione.