Il Tango di gomma bianco, annerito dall’usura di mille e una partita, i cumuli di felpe come pali, le scivolate folli che finivano per far sanguinare copiosamente ginocchia e gomiti, i gol imprevedibili, le esultanze esasperate. Una regola aurea prima di ogni scontro: portiere fisso o volante? Il portiere volante tesseva il gioco dalle retrovie, un ragazzino con piedi educati solitamente, pronto a scagliare temibili bolidi in grado di coprire quella decina di metri che separavano le due porte nelle partite al parco tra bambini.
Quel sogno puerile, quell’arma letale negli schemi della nostra infanzia è stata resa pratica da un portierone grande e grosso, che di mestiere difendeva la rete ma di specialità calciava divinamente: José Luís Felix Chilavert Gonzalez, più semplicemente El Chila. La sua carriera inizia come quella di molti altri ragazzi, dotato di un talento sopraffino per tutto ciò che riguarda un pallone; al piccolo José viene consentito di giocare con il fratello maggiore insieme a ragazzi più grandi di lui, ma a una sola condizione: la porta come gavetta.