Sì dai, insomma, che sotto sotto un po’ di sana paura, quella roba che ti vengono le formichine nello stomaco come quando il professore di greco ti interrogava e tu non avevi studiato la perifrastica passiva, era lì, presente, celata dalla sicumera che tanto passiamo noi ma se poi non passiamo ci sfottono per un decennio.
Invece, dopo essere partiti a uno all’ora, freno a mano tirato come raramente mi era capitato di vedere in questa stagione, l’Inter ha iniziato a mettere le basi della vittoria conquistando campo e pallino del gioco pian piano, come i migliori strateghi del Risiko. Un passettino alla volta: prima Lautaro giusto per saggiare la resistenza della difesa spagnola, poi ancora Lautaro poi, una volta deciso che si era più forti degli avversari l’affondo di Lukaku, un mostro nel difendere palla e incrociare di sinistro in maniera imparabile.
Intendiamoci, non abbiamo visto il primo tempo di Bergamo, anzi. Il pressing asfissiante del Getafe ha portato Brozo a trovarsi spesso e volentieri ai margini dell’azione, quando sappiamo tutti come il croato desideri il pallone sui piedi per poterlo smistare a piacimento. Gagliardini discreto ma troppo falloso negli appoggi, Barella dieci polmoni sempre a rincorrere chiunque, i due davanti staccati dal resto dei compagni. No, decisamente no, non è stata una partenza memorabile. Ma le grandi squadre, ci raccontano da che calcio è calcio, sono quelle che sanno soffrire se c’è da soffrire e punire quando c’è da punire: l’Inter di ieri sera ha lasciato sfogare gli spagnoli, ha fatto loro pensare di poter gestire e controllare la gara a piacimento, ha bussato con il bel Martinez del primo tempo - il secondo non lo raccontiamo perché anche no – alla porta di Soria e ha punito severamente con Romelu, vero leader di questo gruppo insieme a Diego Godin.
Solita ripresa ma, pur lasciando il pallino in mano al Getafe, i nerazzurri non hanno mai dato l’impressione di vacillare, quanto piuttosto la sensazione di poter colpire nuovamente. Non sono nemmeno caduti nel tranello del non gioco spagnolo fatto di falli, fallettini, calcetti sui quali l’arbitro Taylor, direzione gravemente insufficiente la sua che va bene giocare all’inglese ma lasciar passare tutto anche no grazie, ha mostrato magnanimità e contezza nel perdono. Un filo di fortuna sul rigore generoso e Samir che spinge con lo sguardo la palla fuori, poi l’ingresso di Eriksen e il raddoppio del danese.
Nei quarti servirà altro, ma il solco è tracciato: l’Inter può e deve crederci.