Proprio nell’anno del ventennale del titolo di campione di Spagna, il Deportivo La Coruña è retrocesso matematicamente in terza serie prima ancora di poter disputare l’ultima, decisiva, partita contro il Fuenlabrada (poi vinta 2-1). Per un po’ di tempo l’aggettivo “Super”, che viene automaticamente associato al nomignolo della squadra, il “Depor”, sarà solo un ricordo evocativo, un modo per dare nuova vita ad un’epoca lontana – nemmeno poi troppo, in verità –, una leggenda che non c’è più. Come quando anteponiamo l’aggettivo “Grande”, rigorosamente con la G maiuscola, davanti a Torino: una parola sola per ricordare qualcosa che per un motivo o per un altro non tornerà più. Eppure, anche negli anni del SuperDepor, la squadra non è mai uscita dalla sua dimensione gallega. Un luogo unico al mondo, la Galizia, orgogliosamente indipendentista al pari della Catalogna e dei Paesi Baschi, ma meno rumorosa e pubblicizzata.
C’è un’opera scritta da quello che è certamente l’artista gallego più famoso di tutti, il poeta e vignettista Alfonso Castelao, che si chiama “Cousas da vida”, e che celebra il carattere spigoloso, fiero ma sempre un po’ (anche troppo) rassegnato della gente del luogo. Rassegnati al potere politico della Castiglia, a dover parlare una lingua che non è la loro, il loro idioma infatti è molto più vicino al portoghese, persino a dover accettare di condividere con Madrid e Barcellona lo stesso fuso orario, pur essendo sul meridiano del Portogallo e del Regno Unito. Il giorno della retrocessione in terza divisione, il sole è tramontato su A Coruña alle 23 e 10 circa.