IL FENOMENO

LeBron James, come te nessuno mai: Mvp delle Finals con tre maglie differenti

Il 23 dei Lakers arricchisce a suon di record il quarto titolo di una carriera irripetibile. Ma a quasi 36 anni il nativo di Akron non ha alcuna intenzione di fermarsi

C'è un elemento che accomuna Robert Horry, John Salley, Danny Green e LeBron James: sono gli unici giocatori nella storia Nba ad aver vinto il titolo con tre maglie differenti. Solo il nativo di Akron, però, è riuscito nell'impresa aggiudicandosi anche il riconoscimento come Mvp delle Finals. Due volte coi Miami Heat, una con i Cleveland Cavaliers e una con i Los Angeles Lakers. Nessuno come lui, l'ennesimo record di una carriera irripetibile, la decima finale della sua vita che gli ha permesso di riportare il "Larry O'Brien Trophy" nella città degli angeli dieci anni dopo l'ultima volta, quando il leader dei gialloviola rispondeva al nome di Kobe Bryant.

The Chosen one, il prescelto. Un marchio tatuato sulla sua schiena e impresso dal destino, fin da quando nella High School di "St. Vincent-St. Mary" veniva seguito da uno stormo di fotografi ovunque andasse e qualunque cosa facesse. La copertina di "Sport Illustrated", i contratti milionari con gli sponsor e ancora nessun minuto in Nba giocato, LeBron James alla pressione si è dovuto abituare fin da giovanissimo. Le spalle larghe gli sono servite non solo per spazzare via gli avversari, ma per proseguire nel suo cammino in barba alle critiche e alle cattiverie dei cosiddetti haters, una lunga corsa a ostacoli che il 23 ha superato grazie all'etica del lavoro e una mentalità che si è rafforzata nel tempo, il tutto unito a una maniacale cura del corpo che gli permette, a 35 anni suonati, di dettare ancora legge nella lega a stelle e strisce. 

Raggiungere la gloria con i Los Angeles Lakers non è un'impresa comune. Il blasone dei gialloviola parla da sé: una "walk of fame" di leggende del basket americano, che hanno onorato la casacca della franchigia fin da quando aveva sede nella città di Minneapolis: da George Mikan a Kobe Bryant, passando per Jerry West, Wilt Chamberlain, Magic Johnson, Kareem Abdul-Jabbar e Shaquille O'Neal. Tutte stelle del firmamento losangelino, tornato a brillare grazie al titolo numero 17 che vale il primato Nba al pari dei Boston Celtics.

Il prossimo 30 dicembre LeBron James spegnerà 36 candeline, ma gli anni che passano non sembrano rappresentare un problema per lui, che alla sua pallacanestro riesce sempre ad aggiungere un elemento in più. Una maturità agonistica grazie alla quale riesce a coinvolgere i compagni, defilarsi quando necessario, leggere in anticipo le situazioni e dominare non più solo fisicamente, ma anche mentalmente, ogni singola fase del gioco.

Il primato di miglior realizzatore nella storia dei playoff lo ha già abbondantemente raggiunto, ora ha nel mirino quello di top scorer della regular season, con i soli Karl Malone e Kareem Abdul-Jabbar a dividerlo dalla vetta. Un traguardo individuale che per il prescelto arriverà sempre dopo la fame di vittorie, quella voglia incontrollabile di mettersi altri anelli alle dita e scrivere nuove pagine di storia dello sport. 

"Io il migliore di sempre? Lascio a voi la discussione - ha dichiarato al termine di gara 6. "Ci sono sempre ostacoli da superare: quando riesci a metterti nelle condizioni di vincere un campionato la prima cosa a cui pensi è tutto il duro lavoro che hai fatto durante la stagione. Tutto quello che hai sacrificato. È sempre stata la cosa più gratificante per me, oltre a vedere i miei compagni di squadra felici.

Un successo passato anche attraverso le difficoltà vissute nella bolla di Orlando: "A volte mi chiedevo: dovrei essere qui? Vale la pena sacrificare la mia vita familiare? Non sono mai stato lontano da lei per così tanto tempo. Non ero presente quando mia figlia è andata all'asilo, mi sono perso il compleanno di mio figlio. Fortuna che avevamo i mezzi tecnologici per vederci anche a distanza. Alla fine non importa dove vinci un titolo, se in una bolla, a Miami o a Golden State. Raggiungere la vittoria rimane una delle emozioni più forti che un giocatore di basket possa provare".