Il Velasca è una lucida follia

Alla scoperta della squadra più eccentrica di Milano

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Quando nel Secondo Dopoguerra venne commissionato un edificio iconico per rappresentare la rinascita milanese dopo gli stenti bellici, l’influenza culturale degli alleati determinò l’adozione, derivante dal mondo anglosassone, della corrente brutalista. L’orientamento, ispirato dal baton brut di Le Corbusier, imponeva una forte e rude impronta architettonica elevando il cemento a vista da elemento portante a criterio estetico predominante.

Da sempre la torre sorta in Piazza Velasca, da cui ha tratto il nome, ha diviso popolazione e critici. L’estetica non ammalia nessuno, ma chi la ama ne riconosce una forte valenza simbolica. Tra questi Beppe Severgnini, che ha splendidamente colto l’essenza dell’edificio sulle colonne del Corriere della Sera, scrivendo:

«Chi dice che è orrenda, non capisce niente di Milano. Probabilmente crede che il capoluogo lombardo voglia gareggiare con altre città d’Italia in bellezze rinascimentali. Invece è orgoglioso dei suoi angoli strambi, dei suoi portoni, dei suoi cortili irregolari, dei suoi palazzi dove qualche incosciente vorrebbe sostituire il portiere con un citofono»

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