Locke, nel film omonimo di Stephen Knight, è alla guida della sua auto nella notte, si sta allontanando dalla sua famiglia e dal suo lavoro perché lo aspetta un nuovo destino, forse non migliore, lui è costruttore di edifici, un abile capocantiere, uno che ha a che fare da decenni con il cemento e in un dialogo al telefono con chi lo deve sostituire più volte gli dice che deve essere quello giusto, altrimenti si aprono crepe e diventa pericoloso; quel calcestruzzo ricorda la faccia di Wayne Rooney: rozza, grezza, dura e resistente.
Una colata che viene dal quartiere popolare di Croxteh, Liverpool, zona sorta in maniera scomposta nell’immediato dopoguerra, è il primo di tre fratelli nati da padre disoccupato mentre mamma Jeanette è cuoca alla scuola “De la Salle Roman Catholic”, da bambino conosce sua moglie Coleen e intanto combina sfracelli in campo; nel 2001, a sedici anni, guadagna 80 sterline a settimana poi l’esordio precoce in Premier, i gol, tanti, la rabbia, di più, una forza devastante; in campo invecchia, sarà per i pochi capelli, la struttura tozza anche se non bassa, le cosce forzute, le mascelle robuste, quando gioca sembra trasformarsi in una vecchia gloria poi inizia a muoversi e ti accorgi che ha la testa e i piedi da fuoriclasse ma la sostanza e l’intensità di un mediano anni Settanta. La stessa impressione senile l’ebbe Elias Canetti di Brecht che nel secondo volume delle sue memorie scrive: “Sembrava incredibile che avesse solo trent’anni; non aveva l’aspetto di un uomo invecchiato precocemente, ma di un uomo che è sempre stato vecchio”