Descrivere le distanze tra due luoghi nello spazio non è solo una questione di metri e misurazione. C’è tanto altro, ma non si tratta di fisica quantistica. Tra Rio de Janeiro e Zwolle, tra il Maracanà e il Mac³Park Stadion intercorre una distanza di migliaia di chilometri, ma la distanza più evidente è quella calcistica: da un lato il tempio del futebol, dall’altro un anonimo stadio nella provincia olandese il cui nome sembra quasi la caricatura di un computer.
Ma se è vero che il calcio è un frangente della vita in cui le dimensioni convenzionali non comandano, c’è anche un altro punto di vista da tenere in considerazione. A sei anni di distanza dalla svolta improvvisa del suo percorso calcistico, Mario Götze si ritrova non solo a dover ricostruire una carriera che da allora ha subito una curva imprevedibile, ma anche a voler ritrovare sé stesso. Il 19 ottobre infatti, quando mette piede sul terreno di gioco per la prima volta con una squadra non tedesca nella sua carriera, il PSV Eindhoven, ha inizio per lui un nuovo capitolo.
In questo momento Götze non vuole scappare dal calcio, ma semplicemente ritagliarsi un suo spazio, cosa a cui ha rinunciato per troppo tempo. La prima uscita è positiva: il talento tedesco gioca esterno destro del 4-4-2 di Roger Schmidt solo sulla carta, in realtà si muove in tutto il campo offrendo ai suoi compagni una linea di passaggio in più, uno scarico sicuro, per poi ripulire il pallone e cercare una soluzione verticale. Arriva anche il gol, dopo pochissimi minuti: un difensore del PEC sbaglia il retropassaggio, lui si inserisce in area, salta il portiere e deposita in rete.