Il ginocchio poggiato sul manto erboso, il braccio destro esteso con l’indice che indica la curva festante. Il braccio sinistro invece conserto con il pugno chiuso che stringe l’emblema ricamato sulla maglia, proprio all’altezza del cuore. Capo reclinato. Dall’Estadio Nacional all’Olimpico, dal Delle Alpi al Monumentál, in giro per il mondo con la Roja, per 251 volte quella tipica genuflessione mutuata dal mondo dei toreri ha fatto esplodere di gioia gli stadi. Un’esultanza tipica e iconica, indelebile segno de El Matador.
Faccia espressiva e intensa, pelle dalla scorza dura, bruciata dal sole Incas e tagliata dalle raffiche andine, capello lungo e corvino, Marcelo Salas impersonifica alla perfezione la stripe orgogliosa dei Mapuche, stanziati per secoli nella regione dove sorge Temuco, città natale del cileno.
Santiago de Chile è oggi una delle capitali culturali ed economiche del Sudamerica, una città cresciuta molto negli ultimi decenni e che offre notevoli opportunità per chi aspira a un radicale cambio di condizione sociale. Quando però nel 1991 Salas percorre i 700 km che separano Temuco da Santiago, sa semplicemente di arrivare nella terra promessa del calcio cileno, sede della trinità sportiva del paese: Colo-Colo, Universidad Católica e Universidad de Chile, la squadra che a 17 anni accolse Marcelo tra le proprie fila.